È stato il grande accusatore della Sanitopoli abruzzese, l’uomo su cui si è poggiato l’intero processo a Ottaviano Del Turco. Oggi, Vincenzo Angelini, sconterà un anno di detenzione ai domiciliari.
Sanità d’Abruzzo: quella sottile linea di “soggezione” che lega il caso Del Turco al caso Chiodi
Il gruppo è stato condannato per bancarotta fraudolenta a 8 anni. Angelini ha scontato una condanna definitiva a un anno per un reato ambientale.
La decisione del Tribunale di applicare l’arresto domiciliare a Vincenzo Angelini è scaturito dal fatto che vi sono alcune gravi patologie di cui soffre l’ex magnate della sanità privata.
Bancarotta Villa Pini, Cassazione conferma la condanna. Cosa rimane del processo Del Turco?
Le condizioni di Angelini verranno riesaminate tra un anno. Intanto, come ha stabilito il Tribunale di Sorveglianza, non può allontanarsi dal proprio domicilio se non per un’ora al giorno
“Il provvedimento è in linea con quelli che sono i principi costituzionali del diritto alla salute e soprattutto del fatto che una persona che ha commesso un reato deve scontare una pena che comunque deve tendere alla rieducazione” ha commentato l’avvocato Supino.
Angelini, 67enne, il 30 ottobre del 2015 venne condannato a 10 anni di reclusione. I giudici del Tribunale di Chieti, lo accusarono di bancarotta fraudolenta da oltre 100 milioni di euro.
Sanitopoli, Del Turco:”Una giustizia nelle mani anche di piccoli mascalzoni”
Il gruppo Villa Pini accumulò debiti nei confronti di fornitori, banche e dipendenti che rimasero per mesi senza stipendio. La bancarotta, avvenuta presso il tribunale di Chieti il 5 maggio del 2010, si consumò intorno a 12 società controllate dalla holding del gruppo, la Novafin e che portò al fallimento di Villa Pini. Il processo per il crac partì dall’inchiesta sulla sanità regionale condotta dalla procura di Pescara che sfociò negli arresti del 2008. Angelini raccontò ai giudici pescaresi di aver pagato tangenti ai politici. Gli atti della bancarotta, per competenza, furono trasferiti a Chieti. Per l’allora procuratore capo Pietro Mennini, ci fu la “prova documentale che gli Angelini avevano confuso il patrimonio della società con quello personale”.