Vaticano, i soldi dei poveri usati per l'acquisto di un appartamento per la nipote del cardinale Angelo Becciu
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Si tratta dell’inchiesta più complessa della storia della Santa Sede.

E che ha visto il rinvio a giudizio di un bel po’ di ‘servitori del Signore’ del Vaticano. Dal Cardinale Angelo Becciu, al monsignor Mauro Carlino, Enrico Crasso, Tommaso Di Ruzza, Cecilia Marogna, Raffaele Mincione, Nicola Squillace, Fabrizio Tirabassi, Gianluigi Torzi e René Brülhart.

I tre livelli dell’inchiesta

Il lavoro investigativo ha interessato tre livelli: finanziario, ecclesiastico e sanitario. C’è un po’ di tutto. La truffa, il peculato, l’abuso d’ufficio, l’appropriazione indebita, il riciclaggio e autoriciclaggio, la corruzione, l’estorsione, il falso materiale in atto pubblico e quello in scrittura privata. E ancora: la pubblicazione di documenti interni alla Santa Sede coperti dal segreto. Tutto scritto nelle motivazioni del rinvio a giudizio della magistratura vaticana.

Investimenti, conti correnti bancari esterni alla Santa Sede, portafogli delle società di gestione sono gli indizi iniziali che nell’estate del 2019 hanno portato lo Ior (Istituto per le Opere di Religione) e l’Ufficio del Revisore Generale  a presentare due denunce. C’è, tra gli altri, il caso della compravendita del palazzo di Sloane Avenue a Londra.

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Tutto nasce dal buco di 400 milioni di euro generato dalla volontà di acquisto dell’immobile sito al 60 di Sloane Avenue a Londra. Nelle 500 pagine emerge uno spaccato corruttivo che travalica le Mura Vaticane e coinvolge la criminalità finanziaria internazionale. La Gendarmeria vaticana ha ricostruito i passaggi economici di circa 200 società utilizzate dai rinviati a giudizio per nascondere, camuffare e far planare in altri conti, le risorse che secondo i regolamenti vaticani non sarebbero mai potuti essere investiti.

La svolta

La vera svolta dell’inchiesta c’è stata quando Monsignor Alberto Perlasca, ha iniziato a collaborare con gli inquirenti, uscendo come racconta in molte deposizioni da una condizione di subordinazione psicologica indotta dal presule sardo. Perlasca racconterà agli inquirenti della ragnatela di relazioni di Becciu, del ruolo di primo piano che il collega di segreteria, Fabrizio Tirabassi avrà in tutta la vicenda, divenendo una sorta di amministratore delegato ombra delle commesse e delle estorsioni maturate ai danni della Santa Sede.

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L’Espresso raccontò di bonifici della Segreteria di Stato e della Conferenza Episcopale Italiana finiti sulla Cooperativa Spes del fratello del cardinale Antonino Becciu, 600.000 euro in totale dati in regime di assoluta discrezionalità.

Una larga parte sarebbe stata utilizzata per secondi fini personali e famigliari, tra cui anche prestiti ad una nipote, Maria Luisa Zambrano per l’acquisto di una casa a Roma.

Gli inquirenti confermano anche lavori svolti nelle varie nunziature apostoliche da parte della falegnameria di un altro fratello, Francesco Becciu, grazie anche alla complicità di Monsignor Bruno Musarò legato da uno stretto rapporto con i Becciu e che fu spostato abbastanza a sorpresa da Papa Francesco lo scorso anno dalla nunziatura in Egitto e spedito in Costa Rica. I lavori affidati al fratello falegname superano i 100 mila euro e per gli investigatori anche se non rappresentano un reato raccontano il metodo di Becciu.

Il faccendiere

Spuntano anche i messaggi indirizzati al faccendiere Marco Simeon, a cui Becciu chiede di interessarsi al progetto della “Birra Pollicina” dell’altro fratello, il professor Mario Becciu, finanziato dal magnate angolano Antony Mosquito, amico del cardinale e al centro del primo affare a cui la cricca vaticana aveva rivolto le attenzioni e poi non andato in porto del petrolio angolano.

Becciu e l’informazione

Becciu è stato abile anche a veicolare notizie sugli organi di informazione e di essere sicuro di riuscire ad indirizzare anche il racconto pubblico dell’inchiesta sul palazzo di Londra. Va ricordato che prima della riforma voluta da Bergoglio, il cardinale era anche responsabile dei media vaticani, tra cui TV2000 in cui troviamo negli organigrammi Antonella Becciu, sua nipote.

Tante le circostanze da chiarire tra cui il ruolo di Cecilia Marogna, l’esperta di relazioni internazionali che ha speso quasi tutto quello che sarebbe dovuto servire per liberare ostaggi in negozi di Prada e altri marchi di alta moda e ha trascorso due notti negli appartamenti di Becciu.

Il rinvio a giudizio di Becciu: affari e investimenti, dunque, che hanno portato la Santa Sede a perdere circa 400 milioni di euro.

Le tappe dell’inchiesta

Dicevamo che l’inchiesta parte da lontano. Un primo capitolo riguarda l’investimento nel fondo Athena Capital Global Opportunities Fund di Raffaele Mincione, un’operazione avvenuta tra giugno 2013 e febbraio 2014. La Segreteria di Stato si indebita con Credit Suisse per duecento milioni di dollari per investirli nel fondo di Mincione (100 nella parte mobiliare,100 in quella immobiliare, legata al palazzo londinese di Sloane Avenue 60). L’investimento, altamente speculativo, porta a gravi perdite per la Santa Sede. Al 30 settembre 2018 le quote avevano perso oltre 18 milioni di euro rispetto al valore dell’investimento iniziale, ma la perdita complessiva è stimata di un importo ben più consistente. Mincione utilizza i soldi vaticani per realizzare operazioni imprudenti e per tentare scalate a istituti bancari in crisi.

Di fronte ai risultati disastrosi, la Segreteria di Stato cerca di uscire dall’investimento e di entrare in possesso dell’immobile. Operazione che prevede che dalla Segreteria di Stato vengano sborsati 40 milioni di sterline a Mincione in cambio delle sue quote. Si decide di affidarsi a una società di un altro finanziere, Gianluigi Torzi, il quale con un escamotage riesce a mantenere per sé il controllo e a raggirare la Santa Sede grazie a complicità interne. Dalla documentazione prodotta dai magistrati vaticani risulta che Mincione e Torzi erano in realtà d’accordo ad effettuare l’operazione con la Segreteria di Stato.

Crasso e Tirabassi

I magistrati vaticani indicano in Enrico Crasso e in Fabrizio Tirabassi (dipendente in qualità di minutante dell’Ufficio amministrativo della Segreteria di Stato) due figure chiave e ritengono che abbiano ottenuto provvigioni da Mincione e pagamenti in contanti da Torzi per averli fatti entrare in Vaticano. Con complicità interne, Torzi riesce con un escamotage a far firmare uno Share Purchase Agreement che di fatto sottrae alla Segreteria di Stato il controllo dell’immobile di Londra. Lo fa creando 1.000 azioni della società GUTT SA e attribuendo soltanto a queste azioni da lui detenute il diritto di voto. Mentre le altre 30.000 azioni, possedute dalla Segreteria di Stato, non avevano diritto di voto. La Segreteria di Stato si ritrova con un altro finanziere in Vaticano a cui è stato lasciato ogni potere decisionale.

I magistrati vaticani ritengono che “né mons. Alberto Perlasca, sottoscrittore dello Share Purchase Agreement, né i suoi Superiori, il Sostituto Edgar Peña Parra e soprattutto il cardinale Pietro Parolin, fossero stati effettivamente informati e comunque fossero consapevoli pienamente degli effetti giuridici che dalle diverse categorie di azioni sarebbero scaturiti”.

La stessa procura del Sostituto, che sarebbe stata necessaria per firmare l’accordo, viene ottenuta post-factum. E senza che i superiori vengano messia conoscenza del “trucco” che permette a Torzi di controllare tutto. Per l’ottenimento del controllo del palazzo e l’uscita di scena di Torzi, alla Segreteria di Stato, con la complicità interne degli indagati, vengono estorti 15 milioni di euro. Somma pagata al finanziere con causali irregolari. Secondo i magistrati vaticani l’AIF, l’Authority di vigilanza finanziaria, avrebbe “trascurato le anomalie della operazione di Londra – della quale sin da subito era stata messa a parte -soprattutto considerato il patrimonio di informazioni che, per effetto delle attività di intelligence, essa aveva acquisito”. L’AIF ha svolto, secondo la documentazione prodotta dall’accusa, “una funzione decisiva nel completamento del processo di liquidazione delle pretese di Gianluigi Torzi”.

Il cardinale Angelo Becciu, già Sostituto della Segreteria di Stato, non entra subito nell’indagine.

Viene coinvolto perché i magistrati gli imputano delle “interferenze” e ritengono che vi sia lui dietro le offerte di acquisto del palazzo emerse improvvisamente a fine maggio 2020 pochi giorni prima dell’interrogatorio di Torzi. Secondo le testimonianze Becciu avrebbe anche tentato di far ritrattare Perlasca. Nell’inchiesta sono entrati anche i pagamenti fatti dalla Segreteria di Stato a Cecilia Marogna su indicazione di Becciu. La società della donna ha ricevuto tra il 20 dicembre 2018 e l’11 luglio 2019 versamenti effettuati dalla Segreteria di Stato per 575.000 euro. Le indagini attraverso rogatoria hanno permesso di accertare che tali cifre “sono state utilizzate, nella quasi totalità, per effettuare acquisti” non compatibili e quindi non giustificabili con l’oggetto sociale della stessa società.

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