Il lavoro della Guardia di Finanza continua senza sosta. I militari stanno accertando cosa si nasconde dietro le consulenze dei professori universitari già in 600 finiti sotto inchiesta. Un giro d’affari che secondo la Corte dei Conti, che in queste settimane preso provvedimenti di condanna, ammontano complessivamente a 41 milioni di euro di danno erariale.
Nella storia, come riporta L’Espresso, sono coinvolti docenti delle università di Napoli “Federico II”, dell’Emilia Romagna, di Genova, Cassino, Bari, Palermo. Fra loro c’è il professore di ingegneria a capo di aziende di progettazione che lavorano in mezzo mondo e fatturano milioni di euro, il docente di architettura con partita Iva che fa lavoretti in proprio, il medico che non solo insegna all’università e svolge attività per il suo policlinico, ma riceve anche per i pazienti di aziende private della sanità.
Quando gli inquirenti hanno cominciato a indagare tra i corridoi delle università si è scoperto un mondo di finte consulenze, incarichi non dichiarati e altri escamotage per poter avere un reddito parallelo a quello da docente a tempo pieno. L’ultima sentenza della Corte dei Conti, di pochi giorni fa, riguarda un docente dell’Università di Napoli “Federico II” che è stato condannato a restituire all’ateneo 776 mila euro.
Per la grande maggioranza di professori degli atenei italiani il doppio lavoro è una consuetudine, grazie anche a leggi dalle maglie larghe. La legge Gelmini, l’ultima nata per mettere paletti precisi vietando il doppio lavoro per i docenti a tempo pieno, ha, invece, riaperto la partita. E tutti hanno continuato a fare “come ai vecchi tempi”.
Per fortuna, da un paio d’anni, a indagare sulla vicenda è la Guardia di Finanza e la Corte dei conti. Nel mirino inizialmente erano stati messi 411 docenti, in gran parte del Nord, citati a giudizio per un danno erariale di 41 milioni di euro. Successivamente sono stati scoperti incarichi non dichiarati e altri escamotage per poter avere un reddito parallelo a quello da docente a tempo pieno.
A oggi il numero dei casi sotto esame supera quota 600. Alcuni prof che non hanno atteso la sentenza e hanno restituito le cifre contestate senza battere ciglio.
La legge Gelmini del 2010 aveva permesso la possibilità ai professori di avere consulenze chiedendo una autorizzazione al proprio ateneo, ma non possono guidare aziende o società oppure avere attività privata. La parola “consulenza” ha comunque aperto a stravaganti interpretazioni. E i prof hanno in molti casi continuato a svolgere attività privata. Il Miur in una circolare aveva chiarito cosa si intende per consulenze. La circolare del ministero fissa quindi il punto della “natura occasionale e dunque non abituale ma saltuaria” della consulenza e dell’incarico esterno. “A titolo esemplificativo non possono ritenersi occasionali attività di consulenza, anche di modico valore economico, che si ripetono più volte nel corso dell’anno o che comportano una limitata presenza del docente in ateneo”, si legge nel documento.
Nei giorni scorsi la Corte dei conti ha condannato un professore di Ingegneria dell’Università di Napoli “Federico II” a restituire all’ateneo 776 mila euro, dopo che è stato accertato che tra il 2012 e il 2016 con una partita Iva e una impresa individuale ha svolto attività privata.
A Bologna una ventina di professori sono finiti sotto inchiesta. Tra loro un ingegnere che ha risarcito l’Alma Mater con oltre 200 mila euro. Un altro professore di Geotecnica dell’Università di Genova, ex consigliere di amministrazione di una società privata, è stato condannato a restituire 120 mila euro. Poi c’è il caso del docente di Ingegneria dell’Università di Cassino condannato a risarcire l’ateneo con 126 mila euro: oltre ad avere una partita Iva per gli incarichi esterni retribuiti, era presidente e direttore della Cspam, società di progettazione.
La professoressa di medicina preventiva dell’Università di Bari, condannata dai giudici contabili a restituire 121 mila euro, “svolgeva attività libero professionale presso strutture non pubbliche”. In particolare per la Ergocenter, società di consulenza medica del lavoro, amministrata dal marito e posseduta al cinquanta per cento con il figlio.
In Sicilia l’indagine delle Fiamme gialle e dei giudici contabili ha portato ha accertato che un ingegnere avrebbe intascato ben 400mila euro.
Pure nell’altro importante ateneo siciliano, quello di Catania, le verifiche della Finanza sui doppi incarichi hanno portato a condanne importanti come quella di un professore oggi in pensione: docente di Ingegneria dell’Università di Catania. In primo grado è stato condannato a restituire all’ateneo 263 mila euro per aver svolto consulenze in procedimenti giudiziari a favore di Eni e Erg ed essere stato componente di commissione in gare di appalto per l’ospedale Vittorio Emanuele di Catania. Senza aver comunicato nulla alla stessa Università.