Il settore bancario globale continua a rimanere strettamente legato al mondo delle fonti fossili, in un legame che appare sempre più difficile da recidere.
UniCredit e Intesa tra le banche che finanziano il fossile con 6.900 miliardi. Nonostante i numerosi impegni pubblici per la salvaguardia del clima e le promesse ambientali fatte agli azionisti e agli investitori, le principali banche mondiali continuano a finanziare massicciamente il settore fossile. Secondo la quindicesima edizione del rapporto annuale “Banking on Climate Chaos 2024” (Bocc), dal 2016 al 2023, le 60 maggiori banche mondiali hanno erogato al settore fossile ben 6.900 miliardi di dollari, una somma che supera di tre volte il PIL dell’Italia. Nel solo 2023, l’investimento nel comparto fossile ha raggiunto i 750 miliardi di dollari, in aumento rispetto ai 673 miliardi del 2022.
Questo rapporto, considerato il più autorevole a livello mondiale sui legami tra il settore bancario e quello dell’oil & gas, è stato redatto da un consorzio di organizzazioni non governative di 69 Paesi, tra cui Rainforest Action Network, BankTrack, Center for Energy Ecology and Development, Indigenous Environmental Network, Oil Change International, Reclaim Finance, Sierra Club e Urgewald, ed è stato approvato da 589 ONG.
Le banche italiane non sono esenti da queste pratiche.
Secondo il rapporto, UniCredit ha investito 6,5 miliardi di dollari nel settore delle fonti fossili nel 2023, mentre Intesa Sanpaolo ha stanziato quasi 6 miliardi, in aumento rispetto ai 4,7 miliardi dell’anno precedente. Entrambi gli istituti sono coinvolti nel finanziamento delle trivellazioni in aree ecologicamente sensibili come l’Artico e l’Amazzonia. Inoltre, un’altra azienda italiana, Eni, è tra le principali beneficiarie di questi finanziamenti, piazzandosi quinta tra le 12 società fossili che hanno ricevuto più fondi dalle banche lo scorso anno.
L’edizione 2024 del rapporto Bocc introduce un set di dati ampliato e una metodologia aggiornata che attribuisce un peso maggiore a ciascuna banca in base al suo contributo finanziario al settore delle fonti fossili. Questo approccio più dettagliato evidenzia ulteriormente l’ipocrisia del greenwashing bancario, rivelando che le 60 principali banche mondiali hanno supportato finanziariamente oltre 4.200 aziende di combustibili fossili, con quasi la metà dei 6.900 miliardi di dollari destinati all’espansione del settore.
A livello globale, JP Morgan Chase si conferma il principale finanziatore del settore fossile nel 2023, con un investimento di 40,8 miliardi di dollari. La giapponese Mizuho ha ottenuto il secondo posto con 37 miliardi di dollari, seguita da Bank of America. Citi si distingue come il peggior finanziatore dell’espansione dell’oil & gas dal 2016, con 204 miliardi di dollari investiti.
Il rapporto evidenzia anche l’indebolimento delle politiche climatiche di alcune banche.
Bank of America, ad esempio, ha rimosso le restrizioni al finanziamento delle trivellazioni nell’Artico e dello sviluppo del carbone, senza fornire informazioni chiare sui propri obiettivi di riduzione delle emissioni. Questo la rende un caso emblematico di arretramento nelle politiche climatiche.
Nel 2023, le banche hanno continuato a finanziare fonti fossili altamente inquinanti. Tra i peggiori finanziatori dell’estrazione delle sabbie bituminose figurano CIBC, RBC, Scotiabank, Toronto-Dominion Bank e Mizuho. Mitsubishi UFJ Financial Group ha investito 512 milioni di dollari in trivellazioni offshore in acque ultra profonde, mentre JP Morgan Chase ha finanziato il fracking con 6 miliardi di dollari. Anche UniCredit è tra i maggiori finanziatori delle trivellazioni nell’Artico, con 265 milioni di dollari stanziati.
In conclusione, il rapporto “Banking on Climate Chaos 2024” dipinge un quadro allarmante del ruolo delle banche nel perpetuare la dipendenza globale dalle fonti fossili, mettendo in luce le contraddizioni tra le dichiarazioni pubbliche di impegno ambientale e le azioni effettive di finanziamento.