Ad usare la tecnica, con enorme successo, un medico italiano, il dottor Sandro Rossi.
Dal 2002 al 2009 sono stati centinaia i pazienti guariti dai tumori al fegato, al colon, ai reni, polmoni e pancreas. Oggi però non se ne sa più nulla di quella terapia.
Il potere delle frequenze parrebbero avere un’enorme efficacia in tutti i campi. Con questa tecnica il tumore viene sostanzialmente “bruciato” in trenta minuti (tre sedute da 10 minuti) con un ago che buca il tumore e il calore dell’energia elettromagnetica che lo distrugge. Per la prima volta l’intervento fu eseguito al Policlinico San Matteo di Pavia, dove è stato trattato e risolto un tumore endocrino del pancreas in un’anziana paziente.
Si chiama “Termoablazione” e il tumore del pancreas viene distrutto per via percutanea. Il tumore, nella donna, aveva raggiunto dimensioni di 2 centimetri. Un intervento eseguito dal professor Sandro Rossi, direttore della Struttura di medicina VI ed ecografia interventistica. Una differenza rispetto a prima, dichiarava il professor Rossi, molto chiara: “In caso di tumori come questi la cura è rappresentata dall’asportazione chirurgica della testa del pancreas. Con una mortalità del 10-15 per cento. Su cento pazienti ne muoiono 10-15 dopo l’intervento. La termoablazione potrebbe evitare complicanze così gravi”.
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Il Dr. Rossi a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta si è interessato alla sperimentazione della termoablazione con radiofrequenza (RFA) per il trattamento dei tumori primitivi del fegato. Fu il primo al mondo ad applicarla sull’uomo. Una procedura eseguita in anestesia locale, utilizzando un ecografo, un ago-elettrodo (un ago sottile completamente rivestito eccetto che sulla punta da un sottile strato di plastica isolante) ed un generatore di energia a radiofrequenza. La tecnica consiste nell’inserire sotto guida ecografica la punta dell’ago-elettrodo nel tumore da distruggere. Quando la punta dell’ago-elettrodo è nella posizione desiderata del tumore si attiva il generatore a radiofrequenza depositando l’energia elettromagnetica attorno alla punta dell’ago-elettrodo. Il tessuto neoplastico viene distrutto mediante il calore generato dall’energia elettromagnetica. Il calore tende a rimanere confinato nel tessuto tumorale pertanto il tessuto sano che circonda il tumore non viene danneggiato.
Una tecnica diffusissima in tutto il mondo. “Durante il lungo periodo di utilizzo della termoablazione per il trattamento dei tumori primitivi del fegato – si legge sul sito della Onlus – , tuttavia, ci si è resi conto che essi hanno comportamenti clinici estremamente variegati. Ad esempio, un paziente affetto da un tumore del diametro di 3.0 cm dopo il trattamento guarisce e resta libero da malattia ed in buona salute per oltre 10 anni mentre un altro paziente con le stesse caratteristiche del primo dopo il trattamento sviluppa un tumore molto aggressivo che lo conduce a morte entro 1 anno. Tali differenze di comportamento clinico, di tumori che apparentemente sono identici, non sono prevedibili con le attuali tecniche diagnostiche e gli attuali accertamenti laboratoristici. Per poter capire prima del trattamento quale sarà il comportamento clinico di un tumore e quindi quale sia la terapia più appropriata è necessario condurre studi biologici e genetici”.
Duqnue:“Nel 2009 è stato progettato uno studio dedicato alla comprensione del comportamento del tumore primitivo del fegato che include l’analisi biologica e genetica del tessuto neoplastico. Lo studio è stato approvato dal Comitato di Bioetica del Policlinico San Matteo e parzialmente finanziato dalla Direzione Scientifica del Policlinico stesso. Tuttavia, il fondo stanziato non è sufficiente a coprire le spese previste per concludere lo studio in un numero sufficiente di pazienti. Per tale ragione il Dr Rossi ha promosso la nascita della “Fondazione per la Cura Mini-invasiva Tumori ONLUS” al fine di creare le condizioni economiche necessarie a concludere tale studio. Le principali finalità della Fondazione sono quelle di promuovere progetti di studio nel campo della diagnosi e della cura dei tumori, di supportare la formazione di giovani ricercatori operanti nel campo dell’oncologia e di divulgare i risultati scientifici ottenuti”.
NESSUNA CONGETTURA CONTRO IL METODO
In rete c’è chi specifica che i limiti della termoablazione sono noti ma per migliorarne l’uso occorrono studi e ricerche che hanno costi elevatissimi. Una questione, quindi, riferibile esclusivamente alla difficoltà di reperire fondi.
“Quando possibile” spiega Michele Rusca, direttore dell’Unità di chirurgia toracica presso l’azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma al Corriere “nei pazienti con un carcinoma polmonare l’intervento è la prima scelta, essendo l’unica terapia che può ottenere la guarigione. Se c’è indicazione (malattia localizzata al polmone, non metastasi ai linfonodi del mediastino, funzionalità cardiorespiratoria adeguata) si procede quindi sempre con la chirurgia, possibilmente con tecnica mini invasiva. In caso di malattia localizzata, ma con funzionalità cardiorespiratoria non adeguata, l’indicazione è invece per la radioterapia stereotassica, soprattutto per una neoplasia “piccola” (diametro inferiore ai 3 centimetri). La termoablazione rimane una scelta terapeutica in pazienti che non possono affrontare un’operazione, ma bisogna considerare che così la ripresa locale della malattia è molto più frequente rispetto alla radioterapia”.