Dunque, il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, incassa l’ennesima vittoria nonostante i disastri combinati nell’ente pubblico.
I disastri di Tridico all’Inps: tra pensioni sbagliate, hacker e assegni bloccati
La punta di diamante dei Cinquestelle da quel 22 maggio 2019, quando il presidente della Repubblica lo nominò al vertice della Previdenza nazionale, ha creato non pochi guai. Ma sempre ‘coperto’ politicamente da quel Movimento -un tempo anticasta- che gli ha garantito la poltrona. Questa volta, però, i grillini si sono superati e per premiare la sua completa inettitudine alla guida dell’Inps gli hanno raddoppiato lo stipendio.
Il raddoppio firmato dal ministro del Lavoro
Un raddoppio di stipendio firmato il 7 agosto dal ministro del Lavoro, Nunzia Catalfo, come riportato nel decreto interministeriale. Una firma che arriva dopo l’accordo con il collega del Tesoro Gualtieri. Nelle due pagine fitte di premesse e richiami normativi, come ha scoperto Repubblica, vengono fissati gli emolumenti spettanti al presidente, alla vicepresidente Inps, Marialuisa Gnecchi, nonché ai tre consiglieri d’amministrazione. I grillini non hanno badato a spese: Tridico è schizzato a 150mila euro dai 62mila percepiti in principio di mandato. Il 50% in più di quanto guadagnato dal predecessore Tito Boeri, fermo a 103mila.
Una operazione, tra l’altro, effettuata in piena pandemia.
A stabilire il livello di retribuzione è stato, invece, il Cda riunitosi nel mezzo del lockdown: il 15 aprile 2020. Per legge prima di ritoccare gli stipendi occorre dimostrare di aver conseguito una “riduzione strutturale delle proprie spese di funzionamento”. L’Istituto ha fatto i calcoli — 522mila gli euro risparmiati nel 2019, certificati anche dal ministero — e nel bilancio di previsione 2020 ha alzato “dello stesso importo” lo stanziamento relativo ai compensi fissi degli organi di gestione.
I sindaci dell’Inps
Né Catalfo né Tridico avevano fatto i conti coi sindaci di Inps. I quali, il 10 settembre, hanno messo a verbale un’istanza di chiarimenti, con richiamo formale. Secondo i revisori, la legge 75 del ‘99 stabilisce che gli amministratori vadano pagati dalla data dell’insediamento, non della nomina: ossia per le funzioni svolte. E poiché l’attuale Cda è stato costituito in momenti diversi — i tre consiglieri sono stati indicati il 16 dicembre 2019, la vicepresidente addirittura a febbraio 2020 — si chiede di sapere quale sia “la decorrenza effettiva dell’erogazione degli emolumenti come determinati dal decreto interministeriale in questione”.
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Il vero scandalo
Ma non è finita qui. Dalle carte emerge chiaramente che il vero scandalo è un altro. Per aumentare gli stipendi ai vertici dell’Inps, la deliberazione aumenta il capitolo di spesa di 522.000 euro. La legge prevede che questo aumento debba avvenire senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Dunque è stato finanziato per metà riducendo il capitolo destinato alle spese postali, e per metà riducendo il capitolo per manutenzione e noleggi.
Le buste arancioni
Infatti Tridico, tra le prime misure che adottò, fu quella della razionalizzazione delle spese, tra cui l’interruzione del programma di spedizione delle buste arancioni con le quali l’Inps informava ogni cittadino l’ammontare che avrebbe percepito al momento di andare in pensione.
Le buste arancioni erano pagate sul capitolo “spese postali”. Lo stesso che è stato ridotto per finanziare l’aumento dei vertici Inps.
Il ritorno al passato con il Cda
L’ultima questione è che il “decretone” di marzo 2019 dispone il ritorno al cda. Lo stesso che istituisce il reddito di cittadinanza. Come dire: il governo da un lato “distrae” e dall’altra infila la norma per aumentare le poltrone negli enti pubblici. Viene, infatti, disposta una riforma della governance dell’Inps (e anche dell’Inail): si torna al consiglio di amministrazione, eliminato nel 2010 dal governo Berlusconi che aveva concentrato quasi tutti i poteri nelle mani del presidente. Nel periodo di transizione è previsto che la guida passi a “soggetti cui sono attribuiti i poteri del Presidente, del vice presidente e del consiglio di amministrazione”. Una volta insediato il cda, “gli emolumenti rispettivamente del Presidente e dei componenti del cda sono definiti senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, con decreto del Ministro del lavoro concerto con il Ministro dell’economia“.
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