Nella notte del 9 marzo 2023, al reparto di cardiochirurgia della clinica Maria Pia Hospital, si è svolta una riunione d’emergenza, convocata con urgenza a seguito della morte improvvisa di Carla Raparelli, 71 anni.
Trasfusione sbagliata: paziente uccisa per sangue destinato ad altro degente. I familiari della donna, assistiti dall’avvocato Fabrizio Bonfante, erano in attesa di risposte su cosa fosse realmente accaduto.
La tensione era palpabile quando l’anestesista coinvolta ha rotto il silenzio: “Se non lo dite voi, lo dico io cos’è successo”, ha affermato con determinazione, rivelando un errore gravissimo commesso poche ore prima.
La testimonianza
Secondo la testimonianza della stessa anestesista, alla signora Raparelli era stata somministrata una trasfusione di sangue che non solo era inutile, ma addirittura pericolosa, poiché la sacca di sangue apparteneva a un altro paziente, un uomo, con un gruppo sanguigno incompatibile. Grazie alla prontezza di riflessi della specialista, la clinica ha immediatamente segnalato l’incidente alle autorità, avviando così un’indagine guidata dal pm Giorgio Nicola. L’inchiesta ha portato alla richiesta di rinvio a giudizio per un medico e un infermiere, accusati di aver trascurato le rigide procedure di controllo imposte a livello nazionale per le trasfusioni di sangue, mancando di verificare la compatibilità immunologica e la corrispondenza tra i dati della sacca e quelli della paziente.
Quando è stata convocata in procura, l’anestesista ha raccontato i tentativi subiti per indurla a eliminare dalla cartella clinica ogni traccia della trasfusione errata.
Nonostante le pressioni, incluso un appello disperato da parte di un medico che temeva di perdere il lavoro e che cercava di impietosire la collega parlando dei suoi figli, la specialista è rimasta ferma nella sua decisione. “Non sono madre, ma se avessi un figlio, gli insegnerei cos’è la verità”, ha dichiarato, come riportato negli atti dell’indagine. La sua posizione, tuttavia, ha avuto conseguenze: è stata successivamente trasferita in un altro reparto e, dopo qualche tempo, ha presentato le dimissioni.
Le indagini
Le indagini del pm hanno accertato che, la notte del tragico evento, alla clinica Maria Pia Hospital non sono state rispettate le linee guida del Ministero della Salute per la prevenzione delle reazioni trasfusionali, né il protocollo interno “Gestione Sangue ed Emoderivati”, aggiornato il 19 dicembre 2022. Secondo le accuse, l’infermiere, difeso dall’avvocato Lorenzo Marangoni, avrebbe iniziato la trasfusione alle 21:15, ma sia lui che il cardiochirurgo sono accusati di non aver eseguito i necessari controlli sull’identità della paziente, sulla corrispondenza dei dati e sulla compatibilità immunologica, omettendo di verificare che il nome sulla sacca corrispondesse a quello della signora Raparelli.
Anche la clinica ha avviato un’indagine interna per fare chiarezza sulla vicenda.
Durante un audit interno, sono state raccolte testimonianze da medici e infermieri coinvolti, e si è concluso che la causa del decesso era riconducibile alla “trasfusione incompatibile”. La clinica ha inoltre espresso l’intenzione di organizzare corsi di formazione specifici per il personale sanitario, al fine di prevenire future tragedie di questo tipo.
La vicenda solleva serie preoccupazioni sulla sicurezza delle pratiche mediche e sull’efficacia dei protocolli di controllo, mettendo in luce le gravi conseguenze che possono derivare da errori in un settore dove la precisione e la responsabilità sono cruciali. Mentre l’inchiesta procede e si attende il giudizio, resta forte la necessità di un dibattito più ampio sulle misure di sicurezza e sulla trasparenza nei processi medici, per garantire che episodi simili non si ripetano.