Si apre un nuovo capitolo giudiziario sulla strage di via d’Amelio. Il 17 dicembre, al tribunale di Caltanissetta, inizierà un processo contro quattro ex poliziotti accusati di aver depistato le indagini.
Strage di via D’Amelio: nuovo processo per depistaggio. I nomi coinvolti sono quelli di Maurizio Zerilli, Giuseppe Di Gangi, Vincenzo Maniscaldi e Angelo Tedesco, ex membri del Gruppo Falcone-Borsellino. L’accusa, formulata dal sostituto procuratore Maurizio Bonaccorso e accolta dal gip David Salvucci, è di “depistaggio”, un reato previsto dall’articolo 375 del codice penale.
Se condannati, i risarcimenti potrebbero gravare anche sul ministero dell’Interno e sulla presidenza del Consiglio, ritenuti responsabili civili. La costituzione di parte civile è stata accolta per i figli di Paolo Borsellino e per altri familiari delle vittime della strage.
Le ombre del passato e il ruolo dei poliziotti
Le accuse nascono da un precedente processo che ha fatto emergere gravi reticenze e contraddizioni. Durante quel dibattimento, i giudici del tribunale di Caltanissetta hanno inviato alla procura le deposizioni di Zerilli e degli altri imputati. Secondo le motivazioni, Zerilli avrebbe risposto con “121 non ricordo” a domande cruciali. Numerosi anche i silenzi di Angelo Tedesco e Giuseppe Di Gangi, con oltre cento “non ricordo” ciascuno.
Vincenzo Maniscaldi, invece, non si è limitato ai silenzi, ma avrebbe fornito “circostanze false”, come evidenziato dal collegio giudicante presieduto da Francesco D’Arrigo. L’origine del depistaggio risale alla costruzione del falso pentito Vincenzo Scarantino, orchestrata – secondo le sentenze – dall’ex capo della squadra mobile Arnaldo La Barbera.
L’accusa di depistaggio sostituisce quella di falsa testimonianza
I quattro poliziotti erano inizialmente indagati per falsa testimonianza, ma la procura ha poi deciso di contestare loro l’accusa più grave di depistaggio. Durante gli interrogatori, i poliziotti hanno scelto di avvalersi della facoltà di non rispondere.
Secondo il pm Bonaccorso, gli imputati avrebbero agito “in malafede e con reticenza”, fornendo dichiarazioni false per ostacolare la verità sulla strage. Il processo si basa sulla tesi che il depistaggio non sia stato un errore isolato, ma il risultato di un clima di omertà istituzionale.
La difesa: accuse respinte
Gli avvocati dei poliziotti negano ogni responsabilità. L’avvocato Maria Giambra, che difende Zerilli, ha definito il suo assistito “l’ultimo chiodo della ruota di un carro guidato da altri”. Giuseppe Panepinto, legale di Maniscaldi, ha sostenuto che “il vero depistaggio è stato opera di Vincenzo Scarantino” e che il suo cliente “ha sempre detto il vero”.
Le tesi della difesa si scontrano con quanto emerso dai processi precedenti. Per i giudici, il clima di reticenza e menzogne ha contribuito a mantenere nell’ombra i veri responsabili della sparizione dell’agenda rossa di Paolo Borsellino.
Il mistero dell’agenda rossa
L’agenda rossa di Paolo Borsellino, scomparsa subito dopo l’attentato, resta uno dei simboli più inquietanti del depistaggio. Secondo i giudici, la sua sparizione non è attribuibile a Cosa nostra. Il sospetto principale rimane sull’ex questore Arnaldo La Barbera, ritenuto il regista delle operazioni di depistaggio.
La verità sulla strage di via d’Amelio è ancora avvolta da una fitta nube di misteri e silenzi. Questo nuovo processo potrebbe finalmente fare luce su un capitolo oscuro della storia italiana.