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Stoccaggio gas a San Martino sulla Marrucina: rischio terremoti indotti

Stoccaggio gas a San Martino sulla Marrucina: rischio terremoti indotti

La controversa vicenda dello stoccaggio di gas a San Martino sulla Marrucina si ripresenta dopo anni di silenzi e ritardi burocratici

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La controversa vicenda dello stoccaggio di gas a San Martino sulla Marrucina, in provincia di Chieti, si ripresenta dopo dieci anni di silenzi e ritardi burocratici.

Stoccaggio gas a San Martino sulla Marrucina: rischio terremoti indotti. La Gas Plus Storage, società titolare del progetto, ha recentemente avanzato al Ministero dell’Ambiente una richiesta di proroga per la Valutazione di Impatto Ambientale (V.I.A.) relativa al deposito di metano nel sottosuolo. Il progetto, che prevede un volume complessivo di 157 milioni di metri cubi, desta serie preoccupazioni per i rischi di terremoti indotti in un’area già classificata come a elevata sismicità.

La Commissione VIA nazionale ha finalmente chiesto chiarimenti alla Gas Plus Storage in merito a due punti critici: la sismicità potenzialmente indotta dall’iniezione di gas e le perdite di metano nell’atmosfera. Una richiesta che, secondo Augusto De Sanctis del Forum H2O, arriva con dieci anni di ritardo rispetto alle prime denunce presentate dagli ambientalisti. “All’epoca già avevamo posto seri dubbi sulla sicurezza di un progetto che avrebbe potuto provocare terremoti indotti”, afferma De Sanctis. “La nostra preoccupazione riguardava soprattutto l’approccio del Ministero, che sembrava minimizzare il rischio sismico come se potesse essere ‘controllato’. Oggi scopriamo che quegli stessi dubbi sono riemersi.”

Rischi sismici in una zona critica

Il Ministero, nella sua recente comunicazione, ha evidenziato come l’area scelta per lo stoccaggio del gas si trovi in un contesto tettonico particolarmente complesso e delicato, già interessato da sismi di intensità rilevante negli ultimi anni. Tra i documenti richiesti alla Gas Plus Storage vi è un aggiornamento sulle condizioni sismiche dell’area, incluse valutazioni sulla microsismicità, cioè piccoli terremoti che possono essere precursori di eventi più intensi. La relazione tra la sismicità naturale e quella indotta dalle attività di stoccaggio è al centro delle preoccupazioni del Ministero, che ha citato anche un recente studio pubblicato su Nature Reviews Earth & Environment. Lo studio solleva nuovi dubbi sul ruolo delle attività di iniezione e di estrazione di fluidi nel sottosuolo, e sui loro effetti sull’attività sismica.

La prescrizione del Decreto VIA del 2014 sul “controllo” dell’intensità dei terremoti indotti

L’area di San Martino sulla Marrucina è classificata come sismica di zona 1, ovvero con la massima pericolosità sismica in Italia. Questo rende ancor più preoccupante la prospettiva di un progetto di stoccaggio che potrebbe indurre sismi di entità incontrollabile. A complicare ulteriormente il quadro è il fatto che le criticità rilevate dagli esperti del Ministero erano già state individuate nel 2013, quando il progetto ottenne il primo decreto VIA. All’epoca, il Ministero sembrava sostenere l’idea che i terremoti indotti potessero essere “controllati”, suscitando così un’ondata di critiche tra gli scienziati e gli ambientalisti.

Metano in atmosfera e impatti climatici

Oltre alla questione sismica, il Ministero ha chiesto alla Gas Plus Storage di fornire chiarimenti sulle potenziali perdite di gas metano, un potente gas serra, che potrebbero derivare dalle operazioni di stoccaggio. Le emissioni di metano contribuiscono in modo significativo al riscaldamento globale, un problema già noto ma spesso sottovalutato nelle valutazioni ambientali delle infrastrutture fossili. “Il metano è un gas clima-alterante circa 80 volte più potente della CO₂ su un periodo di 20 anni”, spiega De Sanctis. “Abbiamo sollevato questa questione già nel 2014, ma non abbiamo mai ricevuto risposte adeguate dalle autorità.”

Abruzzo a rischio “colonizzazione fossile”

La vicenda si inserisce in un contesto più ampio di proliferazione di progetti legati alle energie fossili in Abruzzo, dove nuovi gasdotti, impianti di stoccaggio e pozzi di estrazione, come quello di Bomba, stanno trasformando la regione in un vero e proprio “paradiso delle fossili”, come lo ha definito il Forum H2O. “L’Abruzzo sta rischiando di diventare una piccola capitale dei combustibili fossili proprio mentre il mondo dovrebbe andare verso una transizione energetica sostenibile”, sostiene De Sanctis. “Ci troviamo in piena crisi climatica, eppure le nostre istituzioni sembrano più interessate a portare avanti progetti che rischiano di peggiorare la situazione.”

Il Ministero dell’Ambiente ha aperto una finestra temporale per le osservazioni pubbliche, che scadrà il 24 ottobre. Entro tale data, cittadini, enti locali e associazioni potranno presentare osservazioni, nella speranza di bloccare un progetto che continua a sollevare perplessità.

Le incertezze tecniche e scientifiche, insieme al rischio sismico, mettono in evidenza i limiti di una gestione ambientale che sembra essere più focalizzata sugli interessi delle compagnie petrolifere che sulla sicurezza dei cittadini e sulla tutela dell’ambiente. La possibilità di terremoti indotti non può essere trattata come una mera eventualità: i disastri naturali degli ultimi anni hanno mostrato quanto il nostro Paese sia vulnerabile. Nel frattempo, l’Abruzzo rimane in bilico, con il rischio di ritrovarsi prigioniero di un futuro fossile, mentre il mondo continua a chiedere a gran voce soluzioni più sostenibili.

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