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Nel deserto del Sinai stanno accadendo fatti gravissimi. Fatti di cui una comunità internazionale dovrebbe occuparsi e che, invece, pare preferisca girarsi dall’altra parte.

Sessioni elettriche, ustioni, stupri a ripetizione. Ogni giorno, ogni ora e per molti mesi, migliaia di eritrei sono rapiti da trafficanti di uomini il cui unico scopo è estorcere un riscatto alle loro famiglie. Cécile Allegra e Delphine Deloget sono due giornaliste che per diversi mesi hanno seguito il calvario di Eden, una giovane eritrea rapita per essere torturata nei campi nel deserto del SinaiEden non è l’unica a subire le torture. “A oggi – spiegano Allegra e Delphine – nessuno Stato, nessuna corte nazionale o internazionale ha condannato questo traffico barbaro o ha provato a mettervi fine”Si tratta, insomma, di veri e propri crimini contro l’umanità” che il Consiglio d’Europa e il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite non paiono intenzionati a risolvere. Ci ha provato il procuratore della Corte penale Internazionale aprendo un’indagine con lo scopo di braccare i trafficanti. Ma questi operatori di morte non temono giustizia. Le due donne chiedono all’ambasciatore italiano alle Nazioni Unite, Sebastiano Cardi, di condannare i campi di tortura di Egitto, Libia, Sudan e Yemen; spingere affinché il Consiglio di sicurezza adotti una risoluzione contro la tortura in questi paesi; agisca in modo che il procuratore della Corte penale internazionale apra un’inchiesta.

Voyage en barbarie racconta del dottor Sherif Sorour, ginecologoche visita una giovane donna sorretta da stampelle e a cui tremano le gambe. “Non so proprio cosa posso fare per lei”, afferma il medico scuotendo la testa. Si riferisce a Eden Gebremichael 20enne eritrea. È stata rapita, torturata brutalmente per tre lunghi mesi nel deserto del Sinai. Eden voleva semplicemente arrivare a Israele e magari raggiungere l’Europa. Ma non c’è riuscita. “Un poliziotto ha aperto la porta di casa – racconta Eden – e mi ha consegnato la lettera per il servizio militare di Sawa Camp”. Non un semplice addestramento ma una vera e propria condanna per suona come una condanna per i giovani eritrei. Tutti e senza distinzione di sesso. Per il dittatore Afewerk tutto è un gioco: ordina l’addestramento dei giovani per un’ipotetica guerra con l’Etiopia. La giovane non ci sta, fugge verso il Cairo. Otto ore di cammino. Sono 3500 al mese quelli che fuggono con la speranza di un futuro migliore e hanno una media di 17 anni. E sono quelli che cadono spesso in mano ai trafficanti. “Dieci uomini armati ci hanno portato in una boscaglia, mi hanno incatenato e gettato a terra” aggiunge Eden. “Dopo dieci giorni a bordo di un pick-up, senz’acqua mi sono ritrovata nel Sinai, a pochi chilometri da Gaza, dove ho visto vere e proprie ville, residenze dei torturatori, tutto beduini

Quando Eden ha chiesto qualcosa da mangiare è stata presa a calci e picchiata con una sbarra di ferro. Ad altri è stato spezzato un dito o bruciati con il ferro. Fino a quando un giorno:Una guardia mi ha consegnato un computer portatile ordinandomi di chiamare mia zia. Poi, mi trascinato fuori dalla prigione e mi ha violentata davanti a tutti. Mia zia sentì tutto: grida, insulti, lacrime. L’uomo poi, rivolgendosi a mia zia, le disse:“Deve pagare 35mila dollari se vuole vederla libera”. 

In mezzo a questo inferno c’è però anche chi non la pensa come questi criminali:Mohammed Abu Bilal ha raccolto decine di sopravvissuti dei campi di tortura, sfuggiti dalle mani dei loro rapitori” raccontano le due giornaliste nel loro reportage. “L’Islam non è violenza” aggiunge Bilalper mezzo di un intermediario con sede in Europa, che ha fatto il trasferimento da Western Union. Soldi che finiscono anche nelle mani dei terroristi dell’Isis. Dal luglio 2013, l’esercito egiziano ha riferito di aver dato un duro colpo alle cellule jihadisteL’esercito ha affermato di avere “stabilizzato la zona” a colpi di bombardamenti, ma contro gli attacchi sono mortali. Più di 500 soldati e poliziotti, molti corrotti, sono stati uccisi nel Sinai.

Perché tanta violenza? Non solo per finanziare i gruppi estremisti ma anche per un presunto traffico di organi.“A chi non pagava il riscatto la minaccia era quella della rimozione degli organi.” ha riferito un testimone del documentario di Allegra e Deloget. 

“Hanno aperto la porta della prigione. Ho visto dieci persone incatenate in piedi faccia contro il muro. Via terra, c’era un ragazzo che non riusciva più a stare in piedi. La sua schiena era solo carne e ossa crudo. E l’odore del sangue, feci … Un odore di morte” scrive Le Monde. “Nel marzo 2013, Germay Berhane è gettato per la prima volta in una casa di tortura deserto del nord del Sinai. Egli trascorrerà tre mesi nelle mani di Abu Omar, uno dei tre aguzzini più temuti della penisola.Torturato ogni giorno, più volte al giorno, senza tregua. La prigione di Abu Omar era coperto di sangue dal pavimento al soffitto. Le pareti infestate da mosche e scarafaggi. Vermi Meat terra strisciando.  Germay è incatenato, faccia contro il muro, vietato muoversi e parlare. Abu Omar entrò, seguito da tre teppisti: “Da ora in poi, la vita vale la pena di 50 000 dollari . E io so come vieni pagato.  I colpi piovono alla sbarra di ferro. La carne aperta. Alcuni svaniscono.”

Un terzo degli eritrei che fuggono arrivano in Italia. È giusto che ce ne rendiamo conto quando ci lamentiamo dei clandestini che sbarcano sulle coste italiane.

Antonio Del Furbo

 

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