Con la sentenza di oggi sulla presunta attività illecita intorno al processo che ha assolto l’ex viceministro leghista dell’Economia, Massimo Garavaglia, e condannato Mario Mantovani, ex vicepresidente della Lombardia, abbiamo appurato che una condanna può avvenire anche con pezzi d’intercettazione.
Infatti, il cuore dell’impianto accusatorio, in mano al pm, erano alcune delle telefonate intercettate nel marzo del 2014. Fondamentale per l’accusa un messaggio in cui Mantovani segnalava a Garavaglia “il problema bando dializzati della Croce Azzurra” e la successiva telefonata in cui l’esponente leghista spiegava a Mantovani che la gara, così come era stata indetta, “mette fuori gioco la Croce Azzurra. E siccome nei nostri Comuni fa tutto la Croce Azzurra…”. La colpa di Mantovani è stata quella di ribattere dando disponibilità a “interessarsi subito del problema”. “Garavaglia – ha detto ieri all’Agi il suo avvocato Jacopo Pensa – va assolto perché, parafrasando lo spot ‘una telefonata allunga la vita’, qui una telefonata innocente è costata un processo penale. Si sente la sua voce nella prima telefonata in cui chiede a Mantovani se sa qualcosa della storia delle ambulanze e dei trasporti e Mantovani che gli dice ‘Non so niente neanche io, di cosa stiamo parlando?’. Poi dice che ‘è venuto uno delle ambulanze e mi ha detto che sono stati esclusi e l’altro risponde ‘non so di cosa stiamo parlando’. Punto, non c’è altro”.
Il pm aveva sostenuto che l’ex assessore lombardo leghista e ora viceministro, assieme all’ex assessore regionale alla Sanità ed ex vicepresidente della Regione Mantovani, avrebbe dato “specifiche disposizioni” e “l’input iniziale” per “vanificare gli esiti del bando” di una gara da 11 milioni di euro, indetta nel 2014 “in forma aggregata” da tre Asl, per il servizio di trasporto di persone dializzate. Garavaglia, però, segnalò semplicemente la questione della Croce Azzurra i cui volontari si erano personalmente rivolti a lui.