Un interrogatorio in carcere durato ben otto ore: l’ex pm di Trani era stato arrestato per corruzione il 14 gennaio scorso dalla magistratura salentina assieme al collega ex gip tranese Michele Nardi. Antonio Savasta è stato ascoltato dal pm di Lecce Roberta Licci, titolare dell’inchiesta insieme al procuratore capo Leonardo Leone De Castris.
Il tesoro di Savasta potrebbe essere nascosto nel mattone grazie a somme derivate da sentenze e indagini che potrebbero essere state truccate in cambio di soldi. L’ex giudice avrebbe utilizzato il denaro per accumulare un enorme patrimonio: risulta infatti proprietario (da solo o insieme ai familiari) di 22 unità immobiliari e di 12 terreni nella provincia di Bari, cui si aggiungono altre 8 unità immobiliari (più un terreno) intestati alla moglie dell’ex pm.
A fare la mappatura dei beni di Savasta è stata la Finanza di Firenze, nell’ambito di una inchiesta (quella sui presunti favori all’imprenditore barlettano Luigi D’Agostino) poi trasferita per competenza a Lecce quando sono emersi gli elementi a carico del magistrato in servizio a Trani.
Negli anni che vanno dal 2015 al 2017, gli anni dei fatti contestati, Savasta ha dichiarato redditi oscillanti tra i 130 e i 140mila euro, più alti rispetto al solo stipendio di magistrato (in quegli anni circa 110mila euro lordi). La differenza è fatta, appunto, dai redditi di locazione. Ci sono, poi, i numerosi bonifici e versamenti sui conti del magistrato che, nel solo periodo di gennaio-marzo 2018, risultano versati assegni per 81mila euro e bonifici per oltre 21mila euro. Dunque, un elevato numero di operazioni finanziarie, spesso fatti con i parenti, ma anche di operazioni immobiliari effettuate direttamente da lui o dalla moglie. Savasta risulta ad esempio aver effettuato un investimento in un immobile turistico nella zona di Polignano a Mare.
Dal punto di vista delle accuse ci sono, oltre a quella di Flavio D’Introno, l’imprenditore di Corato che ha riferito di aver corrisposto negli anni 3 milioni di euro, anche quelle di Paolo Tarantini e Francesco Casillo, arrestato quest’ultimo nel 2006 su richiesta di Savasta per lo scandalo del grano all’ocratossina.
Casillo riferì al pm Licci di aver pagato “550mila euro per uscire dal carcere” tramite un intermediario. Oltre a lui, Savasta fece arrestare anche i fratelli Beniamino, Pasquale e Cardenia nell’ambito dell’inchiesta “Apocalisse” sul presunto spietramento della Murgia. Sempre lo stesso intermediario avrebbe chiesto ad un amico di famiglia “un milione di euro per risolvere la questione. Promettendo di farlo immediatamente”. Dopo il pagamento Casillo ha raccontato che la sorella, a poche ore dal suo arresto, fu scarcerata.
Spunta, infine, una intercettazione ambientale del 1° luglio 2016 in cui Nardi parla in macchina da solo. I carabinieri l’anno considerata “un importante spunto investigativo poiché dalle sue parole traspare, in maniera incontrovertibile, la legittimazione dell’operato del pm Antonio Savasta, nonostante al vicenda Casillo si è conclusa con l’assoluzione del re del grano coratino: “Casillo è meglio che sta zitto perché il vero scandalo è quando Casillo è stato assolto, e no che è stato messo in galera ed è stato assolto da un collegio” in cui, secondo Nardi, uno dei giudici aveva la moglie che lavorava per Casillo. “Le tangenti saranno state pagate sì -continua Nardi in auto- ma per essere assolto, non certo per essere messo in galera”.
A novembre 2015 Savasta concluse la requisitoria a carico di Francesco Casillo chiedendo 4 anni di carcere: l’istanza fu però rigettata dal Tribunale perché ritenuta incongrua.