Il ticket sulla salute è la tassa più odiata dagli italiani che la ritengono soprattutto iniqua. I beneficiari di questo “odio” sembrerebbero i privati che attirano sempre più clienti.
Il ticket è la tassa più odiata dagli italiani: il 50% ritiene che il ticket sulle prestazioni sanitarie sia una tassa iniqua, il 19,5% pensa che sia inutile e il 30% lo considera invece necessario per limitare l’acquisto di farmaci. La ricerca è stata condotta da RBM Salute-Censis “Scenari evolutivi per il welfare integrativo”, secondo cui negli anni della crisi per curarsi 12,2 milioni di italiani hanno aumentato il ricorso alla sanità a pagamento, dalle prestazioni private all’intramoenia. La ragione principale? Facile da intuire: la lunghezza delle liste d’attesa (per il 61,6%) e la convinzione che se paghi vieni trattato meglio.
Ricorsi al privato
L’odontoiatria (90%) è al primo posto per i ricorsi al privato, quindi le visite ginecologiche (57%) e le prestazioni di riabilitazione (36%). Il 69% delle persone che hanno effettuato prestazioni sanitarie private ritiene alto il prezzo pagato e il 73% è convinto che sia elevato il costo dell’intramoenia. Molto diffusa è la percezione di una copertura pubblica sempre più ristretta: il 41% degli italiani dichiara che la sanità pubblica copre solo le prestazioni essenziali e tutto il resto bisogna pagarselo da soli, per il 14% la copertura pubblica è insufficiente per sé e la propria famiglia, mentre il 45% ritiene adeguata la copertura per le prestazioni di cui ha bisogno. Secondo la ricerca, il 56% dei cittadini ritiene troppo alto il ticket pagato su alcune prestazioni sanitarie, mentre il 41% lo reputa giusto. Gli italiani si lamentano di dover pagare ticket elevati soprattutto per le visite ortopediche (53%), l’ecografia dell’addome (52%), le visite ginecologiche (49%) e la colonscopia (45%).
Ticket più costoso del privato
Al 27% degli italiani è capitato di constatare che il ticket per una prestazione sanitaria era superiore al costo da sostenere nel privato, pagando tutto di tasca propria (il dato sale al 37% nelle Regioni con Piani di rientro, la cui sanità pubblica è stata colpita più delle altre dalla scure dei tagli). Si tratta di un paradosso relativo per ora ad accertamenti a bassa intensità tecnologica, ma non va sottovalutato, perché rende insicuri rispetto alla copertura pubblica. Diretta conseguenza dei tagli e della spending review, che per il 61% degli italiani hanno prodotto l’effetto di ridurre i servizi pubblici e abbassarne la qualità, piuttosto che eliminare gli sprechi e razionalizzare le spese. Per il 73% hanno accentuato le differenze della copertura sanitaria tra le regioni e tra i ceti sociali. Per il 67% si punta troppo sui tagli, invece di cercare anche nuove fonti di finanziamento. Dalla ricerca emerge inoltre che il 20% degli italiani sarebbe disposto a spendere una somma annuale pari in media a 600 euro per avere una copertura sanitaria integrativa per alcune prestazioni. La percentuale sale tra le famiglie con figli (23,4%), disposte a versare in media 670 euro all’anno. Il ricorso crescente alla spesa privata spinge minoranze consistenti a guardare con occhi diversi la spesa per la sanità integrativa.
Sanità integrativa: possibile soluzione al problema
Gli italiani vorrebbero che la sanità offrisse una copertura soprattutto per le visite specialistiche e la diagnostica ordinaria (52%), le cure dentarie (43%) e i farmaci (23%). Sarebbero incentivati ad aderire a forme integrative se l’iscrizione al Fondo sanitario garantisse un’assistenza medica per 24 ore 7 giorni alla settimana (il 39% lo indica come fattore incentivante), se riducesse i tempi d’attesa per le prestazioni di cui si ha bisogno (32%), se offrisse la copertura per tutta la famiglia, non solo per il sottoscrittore (30%). Gli italiani che hanno aderito a un Fondo sanitario integrativo sono 6 milioni, ma considerando anche i loro familiari, si sale a circa 11 milioni di assistiti: l’84% di essi valuta positivamente la copertura offerta. Il 68% degli italiani, però, non ha mai sentito parlare di sanità integrativa (33%) o ne ha sentito parlare ma non sa cosa sia esattamente (35%).
L’Abruzzo e la sanità
Per ciò che riguarda la sanità abruzzese Gianni Chiodi è convinto che:«Gli sforzi e l’impegno dell’intera comunità regionale, intesa nel suo complesso, ha permesso all’Abruzzo di non essere più considerata un peso per il Paese. Siamo tra le quattro Regioni in equilibrio economico e quindi possiamo ricominciare ad assumere personale e ad investire in tecnologie». Secondo il governatore la soluzione al problema della sanità pubblica è:«il sistema sanitario di stampo universalistico. È una straordinaria conquista sociale e civile di cui dobbiamo andare fieri come lo sono, ad esempio, gli inglesi. Tuttavia, difendere questo sistema non vuol dire che rappresenti un diritto. Infatti, se fosse tale, non lo avrebbe a disposizione appena il due per cento della popolazione mondiale. Per difenderlo veramente, però, dovremo renderlo sostenibile, altrimenti lo perderemo. L’Abruzzo, fino a qualche tempo fa, contribuiva a rendere insostenibile questo sistema poiché aveva disavanzi annuali spaventosi. Gli effetti? In primo luogo, il commissariamento che ha determinato la devastazione del ruolo e del rango dell’Abruzzo su scala nazionale, poi il blocco totale del turn-over e l’impossibilità di fare investimenti. Se questo disavanzo si fosse protratto per anni, – continua il presidente – avremo rischiato di non pagare più i fornitori della sanità. Per evitare questo, la Regione Abruzzo, ha dovuto persino chiedere i soldi allo Stato ed alle altre Regioni». E sul commissariamento aggiunge:«Il commissariamento in Abruzzo ci sarà fino a quando non saremo totalmente adempienti ai livelli essenziali di assistenza, la cui verifica del Ministero è comunque migliorata passando da ‘critica’ del 2009 ad ‘adempiente con impegno su alcuni indicatori’ nel 2011. Ricordiamo che la situazione fino a pochi anni fa, prima del commissariamento, era disastrosa, sotto il governo della coalizione di centro sinistra. Il tavolo di monitoraggio ha chiesto a tutte le regioni in piano di rientro, quindi anche all’Abruzzo, di redigere un nuovo piano operativo 2013-2015, che rappresenta un adempimento obbligatorio finchè si manterrà lo status di regione in piano di rientro».
La Corte costituzionale dice “no” allo stanziamento per malati oncologici
Intanto la Corte costituzionale si pronuncia sull’articolo 3 della Legge della Regione Abruzzo del 10 gennaio 2012 con il quale si istituiva uno stanziamento di 200 mila euro per i rimborsi ai cittadini affetti da patologie oncologiche, dichiarandola illegittima. Una sentenza quantomeno discutibile dal punto di vista umano ma, forse, anche legislativo per la “crudeltà”. Lo stesso Chiodi ha detto che:«è una sentenza che ci aspettavamo nella durezza dell’esito ciononostante riteniamo giuste le richieste dei malati e a quelle abbiamo cercato di dare una risposta, nella massima sede istituzionale, per ripristinare il sostegno economico ai cittadini che necessitano di trattamenti nelle strutture sanitarie. Continueremo a cercare soluzioni». In pratica i giudici sono convinti che la legge permetterebbe un ulteriore aggravio dei conti regionali rispetto al Piano di rientro 2007-2009. «Per quanto mi riguarda – ha concluso il Commissario – continuerò nelle sedi opportune a porre il problema nel tentativo di sostenere le ragioni di un sistema di welfare solidale, accanto alla necessità di salute, alla luce degli ottimi risultati certificati dallo stesso Governo nella gestione dei conti sanitari». E noi ci auguriamo che, anche in questo caso, il governo regionale possa vincere questa battaglia oltre che politica anche sociale per riaffermare il diritto ad una sanità pubblica.
di La Volpe