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San Raffaele: il gruppo della famiglia Rotelli e i pesi massimi della politica e della Finanza

San Raffaele: il gruppo della famiglia Rotelli e i pesi massimi della politica e della Finanza

Il San Raffaele è controllato dalla famiglia Rotelli che ha collocato ai vertici dell'azienda uomini di peso della finanza e della politica

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L’ospedale San Raffaele è un grande ospedale privato italiano. Una struttura che è in grado di unire poteri trasversali che vanno dagli apparati di sicurezza italiani ai governi del Nordafrica. E poi c’è lui, l’ex ministro degli Esteri Angelino Alfano.

Il centro d’eccellenza della sanità italiana è controllato dal gruppo San Donato della famiglia Rotelli.

Come ricostruisce L’Espresso, il primo capitolo risale a gennaio 2020, quando decine di miliziani libici vengono curati a Milano. Nessuno è approdato in Italia via mare. Per i combattenti feriti è organizzato un servizio di aerei ambulanza direttamente da Tripoli fino al San Raffaele.

Della vicenda non se ne sa nulla fino a luglio.

Poi si scopre che gli ospiti libici erano ricoverati nei reparti destinati al servizio pubblico, quelli in convezione con la regione Lombardia. Arriva la multa: poche decine di migliaia di euro, come ha spiegato in consiglio regionale un paio di mesi fa l’assessore alla Sanità lombardo Giulio Gallera.

In realtà il bilancio 2019 del Policlinico San Donato riferisce altro.

Nel documento a firma Alfano, presidente della società, alla voce “evoluzione prevedibile della gestione” si legge che “a seguito di sopralluogo effettuato nel mese di gennaio 2020 da parte di funzionari di Ats (Azienda tutela della salute, ndr) della Città Metropolitana di Milano” sono stati sospesi i ricoveri in regime di solvenza a eccezione di tre letti del reparto cardiochirurgia.

La sanzione nei confronti del San Donato, che al pari del San Raffaele aveva accolto i miliziani libici, appare ben più alta rispetto ai 43 mila euro menzionati da Gallera nella sua comunicazione. L’anno prima i ricoveri dei malati che pagano le cure di tasca propria, hanno portato nelle casse del policlinico milanese oltre 8 milioni di euro.

Ma come si è giunti all’intesa tra il gruppo San Donato dei Rotelli e le autorità libiche?

A gennaio un miliziano del San Raffaele viene accoltellato da due suoi connazionali, subito prelevati da funzionari dell’ambasciata libica e riportati in patria. “I pazienti sono stati ricoverati su esplicita richiesta di volta in volta formulata dall’ambasciata libica presso la Santa Sede“, spiegano i portavoce del gruppo ospedaliero milanese. Un’operazione agevolata dalla curia papale voluta per evitare imbarazzi al governo di Giuseppe Conte, già in difficoltà per via dei finanziamenti milionari elargiti a Tripoli, soldi che finiscono per sostenere le milizie accusate di abusi e torture sui migranti.

La holding Velca

A tirare le fila del gruppo del San Raffaele è la holding Velca controllata dalla vedova Gilda Gastaldi, insieme ai tre figli Paolo, 31 anni, vicepresidente del Policlinico San Donato, Marco, 27 anni e Giulia, 26. “Con 10 mila dipendenti, 1,6 miliardi di giro d’affari e 19 strutture convenzionate con il servizio pubblico – spiega il settimanale – , il colosso con base a Milano è già di gran lunga il principale operatore privato in Italia, con una posizione di assoluto predominio in Lombardia“.

La partita politica

Per accrescere il business sanitario, che dipende dai finanziamenti di Stato, i Rotelli giocano la partita sul campo politico distribuendo incarichi a personaggi di prima fila del potere nostrano. Ecco, dunque, che arriva Alfano alla presidenza del gruppo. Da due mesi, invece, è arrivato Roberto Maroni, già segretario della Lega, più volte ministro e, fino al 2018, presidente della Lombardia. Maroni è entrato nel consiglio d’amministrazione di una società controllata, la Clinica Zucchi. Angelo Capelli invece, ex consigliere regionale lombardo con l’Ncd (il partitino di Alfano) nonché relatore della legge di riforma sanitaria, ha trovato posto nel board degli Istituti clinici bergamaschi, anche questi dei Rotelli.

I manager e la Finanza che conta

Alla presidenza del San Raffaele siede un manager di lungo corso come Tommaso Cucchiani, già amministratore delegato di Banca Intesa. Il suo collega Federico Ghizzoni è consigliere del Policlinico San Donato insieme al magistrato Augusta Iannini, a lungo tra i massimi dirigenti del ministero della Giustizia, meglio nota come consorte del giornalista televisivo Bruno Vespa. Nel 2019 è arrivato anche Ernesto Maria Ruffini come amministratore della controllata Gsd Sistemi e Servizi. Ma poi, nel gennaio scorso, è tornato all’Agenzia delle Entrate. Per un personaggio di peso che esce un altro ne entra: si tratta del manager Valerio Alberti, fratello della presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati. E poi ci sono “banchieri d’affari come Alessandro Daffina (Rothschild) e Flavio Valeri (Deutsche bank), l’ex presidente Fininvest Roberto Poli, da sempre vicino a Silvio Berlusconi, l’avvocato Daniele Discepolo, fino a pochi mesi fa commissario straordinario di Alitalia”.

L’uomo di peso del gruppo è, però, Kamel Ghribi, uomo d’affari tunisino con residenza svizzera.

L’Espresso riferisce che la famiglia proprietaria del San Raffaele ha investito 10 milioni di euro nella Gk investment holding, una società elvetica che fa capo a Ghribi, nel frattempo nominato vicepresidente del policlinico San Donato. Ed è proprio lui che da un anno fa la spola con il Nord Africa e il Medio Oriente con l’obiettivo di trovare nuovi clienti per gli ospedali dei Rotelli. Clienti ricchi o ricchissimi che certo non mancano tra gli sceicchi dei Paesi del Golfo Persico. È questa la nuova frontiera del gruppo, che ha già aperto una filiale a Dubai per gestire il business del turismo sanitario verso Milano.

Nell’aprile del 1999, il futuro consulente dei Rotelli rivelò al Corriere della Sera di aver organizzato un incontro tra Gheddafi e l’ex ambasciatore statunitense Herman Coehn. “Un incontro segreto che, almeno nelle intenzioni, doveva servire ad aprire un canale diplomatico tra due Paesi che all’epoca si trovavano in uno stato di guerra non dichiarata. In quel periodo, Ghribi era anche vicepresidente del Cotonificio Olcese, società quotata in Borsa di cui il governo libico possedeva una quota del 20 per cento. Nel consiglio d’amministrazione dell’Olcese aveva trovato posto anche Mohamed El Huwej, che in qualità di direttore della holding Lafico gestiva gli investimenti esteri del regime di Gheddafi”.

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