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Russiagate: i misteri del premier Conte e dell’amico del Dipartimento per le informazioni della sicurezza Gennaro Vecchione

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Qualche settimana fa è scoppiato il Russiagate in salsa italiana. Così, è successo che il premier Giuseppe Conte è finito sui banchi del Copasir per essere audito sulla vicenda. E, a quanto pare, non ha convinto molto.

Conte ha spiegato (o ha tentato di spiegare) perché e con quali modalità, tra agosto e settembre, i vertici dei servizi segreti italiani (Dis, Aisi, Aise) abbiano incontrato in più occasioni a Roma il ministro della Giustizia degli Usa – il procuratore generale William Barr, emissario di Donald Trump – insieme al magistrato John Duhram.

Una vicenda che parte dagli Stati Uniti e dall’azione del procuratore Robert Müller. L’obiettivo è quello di scoprire le collusioni tra lo staff di Donald Trump e la Russia nel tentativo di inquinare la campagna elettorale americana del 2016, screditando la candidata democratica Hillary Clinton e indirizzando il voto a favore dello stesso Trump. L’Italia entra nella vicenda per via del ruolo molto importante di Joseph Mifsud, professore maltese scomparso da due anni dopo aver insegnato all’università privata Link University e abitato a Roma.

Mifsud avrebbe offerto al comitato elettorale di Trump nel 2016 le email rubate dagli hacker russi ai Democratici e alla Clinton, episodio chiave del Russiagate.

A pensarla diversamente è il presidente Usa secondo il quale il Russiagate fu una polpetta avvelenata preparata da Obama e Renzi. Dal canto suo Trump si è messo in un altro bel guaio e rischia la procedura di impeachment per un’altra vicenda, quella in cui conversava con il premier ucraino Zelensky al quale chiedeva di indagare sul figlio di Joe Biden, sfidante democratico nella corsa alla Casa Bianca 2020. 

In sostanza Trump vuole ribaltare a suo favore l’intero Russiagate. E, per farlo, coinvolge l’Italia. Ad agosto ha spedito nel nostro Paese gli emissari della Casa Bianca con l’intento di cercare notizie attraverso l’intelligence. Ma non hanno trovato nulla. “Renzi è stato usato da Barack Obama per attuare questo colpo basso nei confronti di Trump” ha detto George Papadopoulos, che in un’intervista al quotidiano La Verità. E Renzi lo ha subito denunciato.

Simona Mangiante, 34enne avvocata casertana, moglie dello stesso Papadopoulos ed ex collaboratrice di Joseph Mifsud, spiega: “Il vero mestiere del Professore (Mifsud, ndr) era questo: cercare agganci, trovare connessioni con i governi. Era molto legato a quello di Renzi. Lui ripeteva spesso di esserlo, anche se non so se conosceva Renzi. Mifsud viveva tra Roma e Londra, era in contatto con Vincenzo Scotti e Pasquale Russo e con alcuni esponenti dei 5 Stelle. Dopo lo scoppio del Russiagate ha soggiornato per settimane in un alloggio a Roma pagato dalla Link nonostante pubblicamente Scotti prendesse le distanze da lui. Ora è sparito. Per me ci sono pochi dubbi: era una spia della Cia, appoggiato dai servizi italiani”. “Resto convinta che il Russiagate vada letto al contrario: un complotto di Cia e governi social-democratici per impedire l’elezione di Trump”.

Mifsud chi? 

Su Mifsud e sui suoi rapporti con la Link Campus University a dare qualche informazione a Repubblica è Vincenzo Scotti, ex ministro e dirigente della Democrazia Cristiana nella prima Repubblica, che della Link è il fondatore. “Parlava troppo per essere una spia. E se lo faccia dire da un uomo che ha attraversato un bel pezzo di storia, che ha fatto il ministro dell’Interno, che è stato nelle istituzioni in un certo modo, e che viene da una scuola politica rigorosa come quella Democrazia cristiana”. Per Scotti, Mifsud è “un professore nato conservatore con amicizie tra i laburisti che, vista anche la sua esperienza come capo di gabinetto di un ministro degli Esteri maltese, esibiva un curriculum di prim’ordine, vantava una impressionante rete di relazioni, a cominciare da un’amicizia personale con Boris Johnson, e che è finito in questa storia per superficialità e credo una certa dose di millanteria”. Ma con questa analisi il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti non è d’accordo perché hanno messo le mani su due telefonini usati dal professor Mifsud.

Le visite del ministro Barr a Roma e gli incontri con i vertici di spionaggio e controspionaggio

A Ferragosto a Roma arriva il ministro della giustizia William Barr per incontrare, saltando tutti i protocolli diplomatici e operativi, direttamente il direttore del Dis (Dipartimento per le informazioni della sicurezza) Gennaro Vecchione. L’obiettivo è annodare i fili del presunto complotto ai danni di Trump. Repubblica racconta: “Tra il 15 agosto e il 27 settembre, precipitata alle nostre latitudini, l’infernale partita del Russiagate, quella da cui dipende il destino politico dell’uomo più potente del mondo, il Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, è diventata un ‘Italian job’, ‘un lavoretto da imbroglioni’. Dove, per dirla con Flaiano, la tragedia scolora in farsa. Dove un presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, a capo di una maggioranza politica sovranista implosa e in cerca di una personale legittimazione al suo bis con una maggioranza di segno opposto, promette il Colosseo alla Casa Bianca”.

Ancora oggi non si conoscono i contenuti che i vertici dei servizi hanno condiviso con Barr. La vicenda però è destinata ad avere conseguenze non solo politiche, come dimostra la richiesta di chiarimenti davanti al Copasir di Conte. E ora Palazzo Chigi cerca una giustificazione. Il premier, però, ha promesso che terrà per se la delega sull’Intelligence. Ma, soprattutto, che il direttore del Dis e suo amico personale Gennaro Vecchione resterà al suo posto. Almeno per un po’.  

Sì, ma Conte?

Il premier dovrà scrollarsi di dosso il sospetto dovuto all’anomala collaborazione tra l’intelligence italiana e gli emissari di Trump, il premier Giuseppe Conte ha fatto filtrare da palazzo Chigi una ricostruzione che rischia di creargli problemi con i nuovi alleati di governo. Il giornalista Tommaso Ciriaco spiega che “Conte autorizzò l’incontro tra il capo del Dis Gennaro Vecchione e il ministro della Giustizia dell’amministrazione Trump, William Pelham Barr, per cercare di chiarire quali fossero le informazioni degli Stati Uniti sull’operato dei nostri Servizi all’epoca dei governi precedenti (…) Una posizione che impegna in modo pesante l’attuale vertice dell’esecutivo, visto che prefigura una sorta di indagine sulla correttezza dei comportamenti dei servizi segreti italiani, dei governi e dei presidenti del Consiglio nel periodo che va dal 2016 al 2017. Dunque su Matteo Renzi e Paolo Gentiloni, due leader coinvolti nella nuova era giallo-rossa”.

Perché Conte compie questa leggerezza? Chi e perché ha fatto filtrare la notizia degli incontri segreti dei nostri 007, gestiti e autorizzati da Conte?  

Rudy Giuliani, avvocato di Trump, intervistato da Fox News, aveva anticipato i contenuti dell’indagine preliminare. “Ci sono molte prove di ciò che è accaduto in Ucraina. Numerose prove di ciò che è accaduto nel Regno Unito e in Italia. Questa è stata una cospirazione globale che ha cercato di privare il popolo americano della persona che ha eletto presidente”. Secondo Conte, invece, lo scopo dell’indagine condotta da Barr e Durham “era verificare l’operato di agenti americani. Non era messo in discussione l’operato dell’intelligence italiana”, ha ribadito. Eppure, come riportato da Repubblica il 7 ottobre, l’incontro fra Barr e i nostri servizi fu autorizzato, secondo Palazzo Chigi, “nell’interesse dell’Italia di chiarire quali fossero le informazioni degli Stati Uniti sull’operato dei nostri servizi all’epoca dei governi precedenti”, quindi Renzi e Gentiloni, diversamente da quanto spiegato ieri dal presidente del Consiglio.

La difesa di Conte

L’obiettivo di Conte era quello di chiarire di non aver fatto alcun favore personale a Trump autorizzando i nostri servizi segreti ad incontrare Barr e quello di sottolineare che il tutto si è svolto secondo i canali diplomatici ufficiali. Ma, purtroppo per Conte, i punti oscuri sono tanti, come rileva anche il Corriere della Sera. Intanto William Barr è un politico dell’amministrazione Trump. Ci si sarebbe aspettato che Conte partecipasse agli incontri invece di “mettere a disposizione” di un altro Paese, anche se alleato, i vertici degli apparati di intelligence. “Così non è andata – osserva il Corriere della Serae adesso dovranno essere proprio il direttore del Dis Gennaro Vecchione, quello dell’Aise Luciano Carta e dell’Aisi Mario Parente a dover rispondere alle domande dei parlamentari del Comitato di controllo”.

Un buco nero

Per bocca del premier, lui e Barr si sarebbero incontrati “in piena legalità e correttezza”. Inoltre, il presidente del Consiglio ha spiegato ai giornalisti che la prima richiesta di informazioni dagli Stati Uniti, nell’ambito dell’inchiesta “preliminare” e non giudiziaria arriva a giugno. Per il tramite dell’ambasciata italiana a Washington, “non a me direttamente. Io non ho mai parlato con Barr”. La Verità, precisa: “Conte non rivela la data esatta in cui è stato sollecitato, ma soprattutto non spiega che cosa sia successo in quei due mesi. O al massimo in quel mese e mezzo. Il premier ha inviato una risposta, come sembrerebbe logico, tramite gli stessi canali diplomatici? Sì è esposto in qualche modo o si è limitato a far passare tutto quel tempo per poi girare la patata a Gennaro Vecchione in data 15 agosto?”

Conte nega

Come riporta il Daily Beast, Joseph Mifsud avrebbe fatto domanda di protezione alla polizia in Italia dopo essere “scomparso” dai radar e dalla Link University di Roma. Il docente, in una deposizione audio, spiegherebbe perché “alcune persone” potrebbero fargli del male. Fonti del ministero di Giustizia italiano, parlando a condizione di anonimato, avrebbe confermato che Barr e Durham hanno ascoltato il nastro e ci sarebbe stato uno scambio di informazioni fra i procuratori americani e l’intelligence italiana. Ma Conte non ha detto nulla.

di Antonio Del Furbo

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