La storia è quella di un impiegato (pubblico) che, a quanto pare, nonostante abbia fatto “bottino” presso l’ente (pubblico) in cui lavorava, il giudice gli ha riconosciuto il diritto a tornare a lavoro. Nel suo ufficio (pubblico).
Il dipendente infedele era stato condannato e licenziato per aver rubato 15mila euro dalla cassaforte dell’ufficio postale di Vasto. Ora, però, dovrà essere reintegrato perché il giudice del Lavoro, che ha annullato il licenziamento, ha ordinato a Poste Spa di versargli un anno di stipendi arretrati e pagare le spese legali.
La sentenza del giudice del Lavoro del tribunale di Chieti, Ilaria Pozzo, è reale e non è uscita dalla sceneggiatura di un film. Secondo il giudice, le Poste anziché trasferirlo, sospenderlo e attendere prudentemente la fine del processo di primo grado, avrebbe dovuto licenziarlo in tronco.
Dopo cinque anni di battaglia legale il 58enne, il 22 agosto del 2016 era stato condannato in primo grado a un anno e nove mesi dal tribunale penale di Vasto per appropriazione indebita. L’uomo nel 2012 aveva sottratto 14.500 euro dalla cassaforte, di cui aveva le chiavi, nella sede centrale delle Poste di Vasto, dove lavorava all’epoca.
“Mi sa che mo’ glieli riporto…” aveva detto l’uomo in un’intercettazione ambientale e telefonica perché sospettato dai colleghi.
Dopo due mesi viene trasferito a Chieti e successivamente sospeso dal lavoro per poi essere reintegrato il 12 maggio 2014. Nel 2016 la sentenza di condanna penale in primo grado le Poste fanno scattare il licenziamento, subito impugnato dai legali del postino.
Di fronte al giudice del Lavoro avviene il reintegro con queste motivazioni:
“La società disponeva sin dal 2012 di tutti i dati sufficienti per procedere a una contestazione disciplinare”. L’attesa “della sentenza di condanna”, quindi, “non si giustifica”: la “contestazione formale” è “irrimediabilmente tardiva”.
Il dipendente ora è parcheggiato in ufficio a Chieti, tenuto a scaldare sedie.