Roma, “una piazza per l’Europa”: quando il consenso si paga a suon di fondi pubblici
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Piazza del Popolo gremita, 270mila euro di soldi pubblici e una regia ben precisa dietro l’evento che doveva sostenere l’unità europea. Ma la domanda resta: chi ha davvero beneficiato di questa manifestazione?


Roma. Una piazza gremita, slogan europeisti, bandiere blu con le stelle gialle al vento, ospiti illustri e una scaletta curata nei minimi dettagli. Circa 50.000 persone hanno affollato Piazza del Popolo per “Una piazza per l’Europa”, evento che sulla carta si presentava come una grande manifestazione spontanea di cittadini a sostegno dell’unità europea e della pace. Ma scavando sotto la superficie patinata, emergono numeri e dinamiche che raccontano un’altra storia: quella di un’iniziativa ben confezionata, finanziata con centinaia di migliaia di euro di fondi comunali, e usata più per scopi politici che per reali intenti civici.

La regia dietro le quinte: chi ha organizzato e chi ha pagato

A promuovere l’evento è stato il giornalista Michele Serra, volto noto della sinistra italiana e sostenitore convinto dell’integrazione europea. Subito hanno aderito intellettuali, artisti, politici di centro-sinistra, sindacati e associazioni. Fin qui, nulla di anomalo: un movimento di opinione è libero di organizzare manifestazioni, raccogliere consensi e portare avanti le proprie idee.

Il punto critico arriva quando si scopre che il Comune di Roma ha stanziato ben 270.000 euro di fondi pubblici per coprire le spese dell’evento. Sì, avete letto bene: un evento di parte, sostenuto da un fronte politico ben preciso, pagato con i soldi dei contribuenti romani. La determina dirigenziale è chiara: il finanziamento arriva direttamente dalle casse capitoline, sotto la voce “eventi culturali e sociali”. Una cifra enorme se rapportata alla media degli eventi pubblici cittadini.

Chi ha deciso che fosse opportuno devolvere così tanto denaro pubblico per una manifestazione dal chiaro taglio politico? Il sindaco e la sua giunta, evidentemente d’accordo con la linea dell’evento. Il tutto senza un bando, senza una consultazione popolare e, soprattutto, senza trasparenza preventiva.

Le voci dissidenti ignorate: Europa sì, ma quale?

Mentre in piazza riecheggiavano gli slogan pro-Europa e pro-NATO, fuori dal palco molti cittadini hanno iniziato a sollevare domande scomode. Che Europa stiamo sostenendo? Quella dell’austerità, dei vincoli di bilancio, del riarmo a scapito di politiche sociali? Diverse associazioni pacifiste e movimenti critici verso l’attuale linea europea non hanno trovato spazio né voce nella manifestazione.

I media mainstream, allineati, hanno raccontato la versione patinata: un popolo compatto per la pace e la solidarietà. Ma la realtà, per chi ascolta attentamente, è ben più complessa. In molti tra i presenti si sono chiesti perché si parli di pace mentre l’Europa aumenta i fondi per le spese militari e continua a sostenere, senza riserve, il conflitto in Ucraina.

L’Ucraina come paravento

Proprio il tema ucraino è stato uno dei cavalli di battaglia dell’evento. Si è parlato di solidarietà, di sostegno a Kiev contro l’aggressione russa, di difesa dei valori europei. Eppure, anche qui, il meccanismo sembra stridere: mentre si lancia l’allarme per l’Ucraina, si tace su altri conflitti (Palestina, Yemen) e sulle contraddizioni interne all’Unione Europea, che fatica ancora oggi a presentarsi come una comunità coesa.

Il business degli eventi “spontanei”

Non è la prima volta che vediamo eventi spacciati per movimenti popolari essere invece il prodotto di strategie ben finanziate. La piazza romana ha messo insieme un mix collaudato: testimonial noti, ampia copertura mediatica, messaggi semplici e polarizzanti, tutto reso possibile grazie ai soldi pubblici. Un investimento che sembra più volto a rafforzare il consenso attorno ad alcuni partiti e leader, piuttosto che a stimolare un vero dibattito democratico.

Dove finiscono i soldi pubblici?

La domanda più urgente resta: perché utilizzare 270.000 euro del bilancio comunale, in un periodo in cui Roma arranca su servizi essenziali come trasporti, rifiuti e manutenzione urbana, per finanziare una manifestazione che divide l’opinione pubblica?

E ancora: chi ha vigilato sulla trasparenza di queste spese? Perché non destinare questi fondi, ad esempio, a iniziative sociali nei quartieri più difficili o alla riqualificazione urbana?


Che piazza è diventata?

“Una piazza per l’Europa” si è trasformata, nei fatti, in una piazza per il potere e per la gestione del consenso. Un’operazione perfettamente riuscita sotto il profilo della comunicazione, ma discutibile dal punto di vista etico e democratico.

La politica romana e italiana sembra ormai aver imparato che il consenso si può acquistare, mascherando tutto sotto la parola “cultura” e affidandosi alla macchina ben oliata dei grandi eventi.

Ma una domanda scomoda resta sospesa nell’aria di Piazza del Popolo: a chi serve davvero questa Europa? E, soprattutto, chi pagherà il conto finale?

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