“La sentenza è definitiva perché la Procura non ha inteso proporre neppure l’appello. Non mi capacito del perché sia iniziata questa vicenda e mi piacerebbe sapere quanto sono costate al contribuente italiano le indagini. Ma non lo sapremo mai. La trasparenza si pretende da altri.”
di Antonio Del Furbo
Correva l’anno 2014 quando, in una fredda giornata di pieno inverno, nella regione verde d’europa si abbattè un nuovo scandalo: la cosiddetta “Rimborsopoli d’Abruzzo”. Una vera e propria bufera giudiziaria che investì in pieno l’ente regionale. Furono inviati ben 25 avvisi di garanzia a consiglieri, assessori oltre che al presidente della Giunta, Gianni Chiodi, e del Consiglio, Nazario Pagano. Le indagini dei carabinieri di Pescara raccontarono di una serie di irregolarità relative a presunte fatture alterate per ottenere rimborsi spesa in occasioni di viaggi istituzionali, alcuni dei quali non sarebbero neanche avvenuti. Motore dell’inchiesta fu la Procura di Pescara con il coordinamento affidato ai pm Giampiero Di Florio e Giuseppe Bellelli, gli stessi che avviarono un’altra inchiesta, ovvero quella contro il precedente governatore della Regione Ottaviano Del Turco.
Due giunte abbattute dalla magistratura e, in particolare, da due giudici.
Bellelli e Di Florio parlarono di presunte autocertificazioni false e un uso non appropriato della carta di credito della Regione non per fini istituzionali ma personali. Il periodo preso in esame fu quello dal gennaio 2009 al dicembre 2012. I politici furono invitati a comparire con accuse che andavano dalla truffa aggravata al peculato e falso ideologico. Gli inquirenti contestavano biglietti aerei in business class pagati ai parenti, hotel di lusso senza motivazioni o più camere pagate mentre si era soli in missioni, pranzi luculliani, persino una bottiglia di barolo da 95 euro. Ma, evidentemente, i due pm non c’avevano visto troppo bene visto che, appena un anno dopo dall’inizio dell’inchiesta, la stessa procura chiese 15 archiviazioni. E ancora. Nell’ottobre dello stesso anno il gup Gianluca Sarandrea, su richiesta del Pm Gennaro Varone, aveva dichiarato l’incompetenza territoriale del tribunale di Pescara a carico di alcuni imputati e trasmesso la competenza al tribunale di Roma. Da lì arrivarono altre assoluzioni, come quella del febbraio del 2016 nei confronti dell’ex assessore regionale della Giunta Chiodi, Gianfranco Giuliante. Ma non era ancora finita. I giudici contestarono a Riccardo Chiavaroli una “truffa” di 20 (venti) euro alla Regione. “L’ho saputo, come mio diritto, da atti ufficiali della procura? No, l’hanno saputo i miei genitori dalle tv e dai giornali. Detto in latino: sistema giudiziario di m…a” raccontò Chiavaroli. A Lorenzo Sospiri, invece, accadde qualcosa di simile. “Pubblico mio avviso di garanzia” scrisse su Facebook. “Nel 2010, 3 giorni al Vinitaly stand regione Abruzzo totale spesa 652: benzina Pescara – Verona circa 200 euro, autostrada circa 80 euro, mangiare circa 80 euro, dormire 110 euro circa, indennità circa 100 euro, totale 572 euro autorizzati. Differenza 82 euro, per non aver specificato che c’erano i collaboratori autorizzati, per 82 euro, mandi un avviso di garanzia? Chiedere prima no? Ops è iniziata la campagna elettorale”.
A Mauro Febbo furono contestati quasi 800 euro per la partecipazione al Vinitaly e 19 euro all’ex consigliere regionale, Alessandra Petri. E ancora: 100 euro per dei Campari offerti dall’ex assessore Mauro Di Dalmazio in un viaggio istituzionale a Cernobbio e 200 euro per una cena di aragoste a Bari spese dall’ex vice presidente della Regione, Alfredo Castiglione. Tutto qui? Puo’ essere. Come potrebbe essere che ci sia dell’altro di cui non si puo’ parlare. Fatto sta che, a quanto pare, le carte di credito a disposizione del presidente e del vice presidente, ad esempio, rimasero con un plafond quasi massimo.
Insomma, la procura di Pescara era talmente convinta di quell’inchiesta che, qualche mese dopo, chiese al gip del Tribunale di Pescara, Nicola Colantonio, di archiviare le posizioni degli ex assessori e consiglieri regionali. E chi erano? Eccoli: Lanfranco Venturoni, Carlo Costantini, Federica Carpineta, Giorgio De Matteis, Cesare D’Alessandro, Riccardo Chiavaroli, Franco Caramanico, Nicola Argiro’, Emilio Nasuti, Alessandra Petri, Antonio Prospero, Lorenzo Sospiri, Giuseppe Tagliente, Luciano Terra e Nicoletta Verì. In 15 uscirono di scena, cioè oltre la metà. A giugno di quest’anno, come se non bastasse, venne assolto Gianni Chiodi insieme all’ex vicepresidente della Giunta, Alfredo Castiglione e all’ex assessore all’Istruzione, Paolo Gatti.
Oggi arrivano, infine, le motivazioni di quella sentenza di assoluzione. Il gup del Tribunale di Roma scrive:
“La prospettazione dell’accusa è carente quanto alla prova, al di là di ogni ragionevole dubbio, di un utilizzo per fini personali, e quindi illecito, dei fondi regionali nella disponibilità dei singoli componenti” e sottolinea che “per la maggior parte delle contestazioni le difese hanno offerto elementi idonei a una diversa ricostruzione dei fatti aventi una attitudine dimostrativa dell’irrilevanza penale delle condotte. In particolare, le difese hanno dedotto come le spese per alloggio, pranzi, cene, coperte con i fondi erogati dall’ente e poi rimborsati, rientravano tutte nel budget annuo di spesa, ed erano tutte autorizzate previamente, salvo che per quelle del presidente non necessitanti alcun previa autorizzazione, ed erano correlate all’esercizio del loro mandato istituzionale“.
“Gli imputati hanno sostenuto delle spese, pagando direttamente con carta in dotazione o anticipandole e chiedendo poi il rimborso, fra l’altro per un ammontare non rilevante, giustificando adeguatamente l’utilizzo o comunque producendo a supporto documenti attestanti spese inerenti le loro finalità istituzionali. La documentazione predisposta a giustificazione delle spese sostenute dagli imputati nel corso delle missioni in oggetto delle rispettive contestazioni risulta redatta in piena conformità alla normativa e alle delibere che disciplinano la materia”.
Il giudice, aggiunge che esiste “un dato oggettivo ed inconfutabile, emerso dalle indagini svolte, che tali spese, di entità non ingente e sempre nei limiti del budget previsto per ciascun componente della Giunta regionale, non risulta essere stato oggetto di alcun rilievo in sede amministrativa. La stessa indagine avviata dalla procura della Corte dei Conti della regione Abruzzo risulta archiviata non essendo emerse irregolarità contabili“.
“I carabinieri del nucleo investigativo di Pescara – si divertiva a scrivere ‘Il Fatto’ all’epoca – spulciando tra i rimborsi di Chiodi, hanno verificato che quella notte, nella stanza 114, il governatore non era solo. Non era neanche con sua moglie, a dirla tutta, poiché ha condiviso la camera con una dipendente dell’amministrazione regionale. Il punto non riguarda la libertà, per il governatore Chiodi, di condividere la sua stanza d’albergo con chicchessia. Il punto è che – secondo l’accusa – questa libertà va pagata con soldi propri e non con denaro pubblico. E invece – stando alla ricostruzione dei carabinieri – Chiodi, dopo aver speso in contanti 340 euro, chiede un rimborso per 357, incassando indebitamente i 170 euro pagati per l’ospite. E non si tratta dell’unica donna che, a spese dei cittadini, gli assessori regionali abruzzesi hanno ospitato – con pranzi e cene annesse – nelle loro camere d’albergo”.
Oggi il gup risponde, evidentemente, anche a quei giornali che, per motivi politici, cavalcarono l’oinda giustizialista spiegando che:
“Le indagini hanno accertato che da parte dell’imputato non vi è stata alcuna condotta truffaldina diretta a lucrare un guadagno indebito” .