Il gelo della montagna, il calore della tragedia
Era il 18 gennaio 2017 quando una valanga travolse l’hotel Rigopiano a Farindola, in provincia di Pescara. Un evento devastante che, in pochi istanti, spazzò via 29 vite, lasciando dietro di sé solo dolore e domande senza risposta. Tra le macerie e la neve, 11 superstiti furono estratti vivi dai soccorritori, in una corsa disperata contro il tempo. Ma quella notte gelida non ha segnato solo una catastrofe naturale: ha aperto le porte a un dramma umano e giudiziario che, sette anni dopo, continua a scrivere nuove pagine.
La sentenza della Cassazione: una verità ancora incompleta
Il recente verdetto della Corte di Cassazione ha confermato la condanna a un anno e 8 mesi per l’ex prefetto di Pescara, Francesco Provolo, per rifiuto di atti d’ufficio e falso ideologico. Una decisione che, pur chiudendo un capitolo, ne lascia aperti molti altri. Per sei dirigenti della Regione Abruzzo, precedentemente assolti, è stato disposto un nuovo processo d’appello. Una giustizia che, a distanza di anni, sembra ancora arrancare nel definire le responsabilità.
Un disastro annunciato?
Le indagini hanno cercato di far luce sulle responsabilità istituzionali che hanno contribuito alla tragedia. L’hotel Rigopiano sorgeva in una zona a rischio valanghe, ma la pianificazione territoriale prevista da una legge del 1992 era rimasta solo sulla carta. La “carta delle valanghe”, strumento fondamentale per prevenire tragedie come questa, fu approntata con clamoroso ritardo.
La gestione dell’emergenza fu altrettanto disastrosa. La strada provinciale n.8, unica via di accesso all’hotel, era bloccata dalla neve. La turbina spazzaneve necessaria per liberarla era rotta, impedendo agli ospiti di lasciare la struttura dopo le scosse di terremoto. Anche l’allarme lanciato da Gabriele D’Angelo, dipendente dell’albergo e una delle vittime, cadde nel vuoto. La sua telefonata alla Prefettura per segnalare la situazione di pericolo fu ignorata, e le successive indagini ipotizzarono persino un tentativo di depistaggio per nascondere questa grave negligenza.
Il primo grado: accuse cadute e verità parziali
Il processo di primo grado vide condanne per alcune figure chiave, tra cui il sindaco di Farindola, Ilario Lacchetta, e i dirigenti della Provincia di Pescara, Paolo D’Incecco e Mauro Di Blasio. Tuttavia, le accuse più gravi, come quella di disastro colposo, furono smontate. L’ex prefetto Provolo e l’ex presidente della Provincia di Pescara, Antonio Di Marco, furono assolti, nonostante le richieste di condanna avanzate dalla procura.
La Corte d’Appello: ribaltamenti e nuove condanne
In appello, il verdetto cambiò. Francesco Provolo, assolto in primo grado, fu condannato a un anno e 8 mesi. Nuove condanne furono inflitte anche al tecnico comunale Enrico Colangeli e al dirigente della Prefettura Leonardo Bianco. Tuttavia, 22 assoluzioni furono confermate, lasciando ancora molte domande su un sistema che sembra incapace di rispondere alla sete di giustizia delle famiglie delle vittime.
Una giustizia che tarda, un dolore che resta
A Rigopiano non si è trattato solo di un evento naturale. La tragedia ha messo in luce un sistema di gestione del territorio e delle emergenze segnato da inefficienze e ritardi. Ogni udienza, ogni sentenza, rappresenta una ferita aperta per chi ha perso i propri cari. “Non cerchiamo vendetta, ma verità”, hanno più volte dichiarato i familiari delle vittime, che ancora oggi si trovano a lottare contro l’inerzia di un sistema che sembra trascinarsi senza fine.
Rigopiano e il lungo elenco della malagiustizia
La tragedia di Rigopiano si inserisce in una lunga lista di casi di malagiustizia in Italia. Eventi che, più che punire i colpevoli, lasciano le vittime e i loro cari intrappolati in un limbo di incertezza e dolore. Come dimenticare i disastri del Vajont o dell’Aquila, dove responsabilità istituzionali e negligenze hanno spesso avuto un peso maggiore delle catastrofi naturali?
La vicenda di Rigopiano non è solo una questione giudiziaria. È una ferita aperta nella coscienza collettiva, un richiamo alla responsabilità che istituzioni e cittadini devono assumersi per evitare che simili tragedie si ripetano. La giustizia, per essere tale, non può permettersi ritardi, omissioni o superficialità. Perché dietro ogni sentenza ci sono vite, sogni e famiglie spezzate. E questo è un peso che nessuno dovrebbe mai portare.
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