A Pescara c’è un giudice che assolve. A Pescara c’è un giudice che non condanna. A Pescara ci sono famiglie e superstiti che piangono e non perdonano. A Pescara il giudice fa così.
Rigopiano. In altre parole potremmo dire che a Pescara lo Stato non c’è. Ma non solo a Pescara. Lo Stato indietreggia. Si nasconde o risponde ad altre logiche. “Fate schifo, vergogna” e “Giudice, non finisce qui” sono parole che raccontano molto di una giustizia ridotta ai minimi termini della credibilità. Al di sotto della soglia massima d’attenzione.
A Pescara c’è un giudice, forse senza vergogna, che “in nome del popolo italiano” ha detto che i colpevoli della tragedia di Rigopiano sono 5. Mentre 25 persone non hanno avuto responsabilità della morte di 29 vite umane. A Pescara noi facciamo così. “Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia”.
Eppure tra i 30 imputati c’erano esponenti politici, funzionari, dirigenti prefettizi.
Le ipotesi di reato vanno dal disastro colposo, all’omicidio plurimo colposo, a lesioni plurime colpose, a falso, depistaggio e abuso edilizio. Insomma, un intero sistema che ha fallito “la pianificazione territoriale di una Legge del 1992″ ha detto Giuseppe Bellelli capo della Procura di Pescara. “La Carta valanghe era un compito che spettava ai dirigenti della Regione Abruzzo, e quell’idea tempestiva e lungimirante è rimasta una buona intenzione senza risultati. Si è trattato di un ritardo inaccettabile”.
Ma qui a Pescara noi facciamo così. “Le leggi qui assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell’eccellenza”. Un cittadino non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private. Ad Atene si facevasa così. Ma non in Abruzzo, forse.
Circa 150 anni di condanna richiesti, in totale, per gli imputati.
Dai 12 anni all’ex Prefetto Francesco Provolo, agli 11 anni e 4 mesi per il sindaco di Farindola Ilario Lacchetta ed il suo tecnico comunale Enrico Colangeli, ai 10 anni per i dirigenti della Provincia di Pescara Paolo D’Incecco e Mauro Di Blasio. L’accusa aveva invocato 9 anni per i dirigenti della Prefettura Ida De Cesaris e 8 anni per Leonardo Bianco.
Mentre per l’ex presidente Antonio Di Marco la richiesta è stata di 6 anni. Cinque anni per i dirigenti regionali Carlo Giovani, Pierluigi Caputi, Emidio Primavera, Sabatino Belmaggio, Carlo Visca, pena più alta – 7 anni – per Vincenzo Antenucci. Per gli ex sindaci del comune di Farindola Massimiliano Giancaterino e Antonio De Vico 6 anni, per Bruno Di Tommaso gestore dell’hotel 7 anni e 8 mesi. Pene di 4 anni per il geologo Luciano Sbaraglia, 4 anni anche per i dirigenti provinciali Giulio Honorati, 3 per Tino Chiappino, 2 per Andrea Marrone, poi un anno per il tecnico Giuseppe Gatto.
Ma a Pescara un giudice ha cancellato tutto. Ha cancellato Rigopiano.
A Pescara si fa così.
“A noi ci è stato insegnato di rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa. E ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buon senso. Qui ad Atene noi facciamo così”.
Ad Atene facevano così. Ma noi questi giudici non possiamo rispettarli.
di Antonio Del Furbo