I dati sono chiari: i Comuni del Centro Italia, colpiti dalla scossa di magnitudo del 24 agosto 2016, hanno visto ricostruire solo il 4% degli edifici, pubblici e privati. Macerie e spopolamento sono il risultato della politica burocratica che in Italia, da sempre, la fa da padrona.
Lancette, insomma, ancora ferme alle 3:36 del 24 agosto 2016 in cui morirono 299 persone. Amatrice, Leonessa, Arquata del Tronto, Accumoli, Visso, Ussita e Castelsantangelo sul Nera, sono ancora lì ad attendere un segnale dallo Stato. Città fantasma che, forse, torneranno alla normalità fra una trentina d’anni quando, probabilmente, in quei territori non rimarrà più nessuno nel raggio di decine di chilometri. A dirlo proprio gli ingegneri che hanno lavorato alla ricostruzione dopo il sisma dell’Aquila e che, nelle settimane scorse, hanno inviato al commissario governativo, Piero Farabollini, un dossier tecnico.
E le conferme arrivano anche da Farabollini, secondo cui lo stallo è dovuto a cause antropologiche. Ma non solo. Il dato del 4%, per il geologo, “si può spiegare con la presenza di macerie, aree con dissesti, con le perimetrazioni e i piani attuativi propedeutici alla ricostruzione, con l’alta percentuale di seconde case, con le non conformità edilizie che richiedono sanatorie“. Ma anche “con lo spopolamento già in atto cui il sisma ha dato il colpo di grazia, con la scarsità di lavoro e servizi che fanno propendere per altre destinazioni soprattutto i giovani“. Una presa d’atto, del commissario, secondo cui “c’è solo un modo per ricostruire: garantire la sicurezza dei cittadini in un rapporto costi-benefici virtuoso”.
Sulla questione c’è, però, anche la questione della sostenibilità economica: in sostanza non ci sono soldi. In primo luogo, emerge come i fondi da assegnare ai singoli proprietari o ai condomini aggregati vengano calcolati sulla superficie calpestabile e non su quella reale dell’edificio. “Mentre uno stabile in cemento armato – si legge nel dossier – è costituito da murature con spessori che vanno dai 10 ai 35 cm, quelli in muratura hanno spessori che vanno dai 40 anche sino a più di 90 cm“. In sostanza, si apprende dal documento, viene finanziata soltanto il 60% della superficie lorda.
Un importo che non tiene conto delle spese tecniche collaterali. All’interno del contributo vanno fatte rientrare le spese tecniche, le spese per le prove, il compenso dell’amministratore, oltre alle relazioni geologiche e quelle specialistiche, tutte comprensive di oneri di legge.
Nel “cratere” ci sono anche tanti edifici danneggiati solo in parte, che però hanno rivelato la presenza di materiali scadenti e non adatti alle attuali normative antisismiche. Anzi. È il caso degli alloggi ex-Ater, vecchie case popolari che negli anni gli inquilini hanno riscattato, come previsto dalla legge.
I documenti riferiscono che all’indomani del sisma dell’Aquila, venne emanata un’ordinanza grazie alla quale i proprietari avrebbero potuto provvedere alla sostituzione edilizia. Misura che però, per il Centro Italia, non è stata prevista.
La domanda è: la struttura governativa, che appoggia su un commissario e quattro uffici speciali in ciascuna delle regioni coinvolte, è adeguata? Il “cratere” è una sorta di sovra regione che occupa un’area di 8.000 km quadrati a cavallo delle regioni Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria. I tre commissari che si sono succeduti, insieme ai tre governi nazionali, hanno emanato ben 86 ordinanze, cui hanno fatto seguito oltre 2000 provvedimenti attuativi da parte dei 138 comuni che fanno parte dell’area. Sergio Pirozzi, consigliere regionale del Lazio ed ex sindaco di Amatrice sostiene che “il governo avrebbe dovuto dare al commissario poteri straordinari come quelli concessi a Genova per la ricostruzione del ponte Morandi. Diversamente queste saranno terre dove ci sarà il business della ricostruzione con la desertificazione del territorio”.
A ben poco, dunque, paiono servire gli sforzi dei governi che si succedono per fare fronte all’emergenza. A poco è servito anche il Dossier n. 71 del Senato che apporta, si spiega, “una serie di modifiche al decreto legislativo n. 50 del 2016 (codice dei contratti pubblici) finalizzate a semplificare le procedure di aggiudicazione degli appalti e a superare la procedura di infrazione n. 2018/2273.” In sintesi, “Si introduce una disciplina semplificata per i contratti di lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria che non prevedono il rinnovo o la sostituzione di parti strutturali delle opere o degli impianti. Si disciplinano le fasi di elaborazione del progetto di fattibilità tecnica ed economica. Viene precisata la portata dei documenti e delle attività che stanno alla base dell’elaborazione del progetto di fattibilità tecnica ed economica. Si stabilisce che tra le spese tecniche da prevedere nel quadro economico di ciascun intervento sono comprese le spese di carattere strumentale sostenute dalle amministrazioni aggiudicatrici in relazione all’intervento. Si dispone che le spese strumentali, incluse quelle per sopralluoghi, riguardanti le attività finalizzate alla stesura del Piano generale degli interventi del sistema accentrato delle manutenzioni degli immobili in uso alle amministrazioni pubbliche sono a carico delle risorse iscritte sui pertinenti capitoli dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze trasferite all’Agenzia del Demanio.”
La ricostruzione continua ad essere un problema tanto che, proprio il sindaco dell’Aquila, Pierluigi Biondi, ha consegnato al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, un documento molto urgente. Oltre a temere lo spopolamento e il mancato aggancio alla ripresa economica del capoluogo, Biondi chiede a Mattarella di sollecitare l’analisi del “dossier L’Aquila, già condiviso con rappresentanti istituzionali, parti sociali e associazioni di categoria, contenente misure che riteniamo utili per accelerare alcuni procedimenti, soprattutto nella ricostruzione pubblica”.
Intanto, i terremotati attendono.