Gran parte delle Segreterie Nazionali dei sindacati hanno indetto per il prossimo 11 giugno una giornata di sciopero contro l’accorpamento delle sedi regionali con il conseguente risparmio di 150 milioni di euro. Dipendenti, sindacalisti e parte del mondo politico non ci sta. Anche perché, specie per questi ultimi, si spegnerebbero le luci delle passerelle quotidiane.
Slc Cgil, Fistel Cisl, Uilcom Uil, Ugl Telecomunicazioni, Snater, Libersind Conf Sal e Usigrai. Sono le sigle sindacali che scendono sul piede di guerra per dire no alla riforma del governo previsto dal Dl. 66/2014 e che sforbicia i costi di mamma Rai.
I sindacati sono convinti, addirittura, che il decreto legge è portatrice di evidenti profili di incostituzionalità. “Un taglio drastico che non colpisce gli sprechi ma i posti di lavoro, creando le condizioni per lo smantellamento delle sedi regionali e ancor peggio per la svendita di RaiWay alla vigilia del 2016 (data in cui dovrà essere rinnovata la concessione per il servizio pubblico), lasciando intravedere inquietanti ritorni a un passato fatto di conflitti di interessi e invasione di campo dei partiti e dei Governi” si legge in una nota. “Indicare in Raiway e nelle sedi regionali i luoghi verso cui operare vendite o riduzioni significa infatti far morire la Rai e compromettere seriamente il rinnovo della concessione per il servizio pubblico” proseguono i sindacati.
IL DECRETO LEGGE DELLA GIUSTIZIA SOCIALE
I sindacati, a quanto pare, il decreto non l’hanno letto altrimenti non si spiegherebbe tutta questa intransigenza sulle norme.
Il Dl. del 24 aprile a pagina 1 recita:”Il Presidente della Repubblica, ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di emanare disposizioni in materia fiscale anche al fine di assicurare il rilancio dell’economia attraverso la riduzione del cuneo fiscale e considerata la straordinarianecessità ed urgenza di intervenire in materia di revisione della spesa pubblica, attraverso la riduzione delle spese per acquisti di beni e servizi, garantendo al contempo l’invarianza dei servizi ai cittadini, nonché per assicurare la stabilizzazione della finanza pubblica, anche attraverso misure volte a garantire la razionalizzazione, l’efficienza, l’economicità e la trasparenza dell’organizzazione degli apparati politico istituzionali e delle autonomie locali” ha deciso di emanare il decreto-legge.
In sostanza, governo e presidente della Repubblica agiscono in simbiosi per risolvere ciò che i sindacati da decenni combattono: la diseguaglianza sociale.
E non finisce qui. Il Dl. non prende di mira, come sostengono i sindacati, solo la Rai ma tutte le partecipate dello Stato, enti e persino Comuni, Province e Regioni. Risolve il problema del cuneo fiscale per lavoratori e assimilati, fornisce disposizioni sull’Irap, contrasta l’evasione fiscale contando di recuperare 300milioni di euro. Recupererà 700mln dalle regioni e province autonome di Trento e Bolzano e altri 700mln dalle province e città metropolitane. Il decreto prevede, inoltre, una “riduzione dei costi di riscossione fiscale”, un “limite di trattamento economico del personale pubblico e delle società partecipate”, una “riorganizzazione dei ministeri” e, all’articolo 21, la tanto odiata disposizione in materia Rai. E cosa dice? Che “fino alla definizione di un nuovo assetto territoriale da parte di Rai Spa, le sedi regionali o, per le province autonome di Trento e Bolzano, le sedi provinciali della società continuano ad operare in regime di autonomia finanziaria e contabile in relazione all’attività di adempimento degli obblighi di pubblico servizio affidati alle stesse”. Quindi la scelta di “cedere sul mercato quote di società partecipate” per la riduzione delle “somme da riversare alla concessionaria del servizio pubblico, per l’anno 2014, di 150mln di euro”.
L’ISOLA FELICE RAI
Poco importa a sindacalisti e dipendenti se l’Italia sta affondando, se le famiglie non arrivano a fine mese, se giovani e meno giovani emigrano all’estero per un futuro rubato. Poco importa ai mega dirigenti Rai se il costo degli appalti a ditte esterne per la produzione di spettacoli ‘chiavi in mano’ è arrivato a cifre da capogiro. Poco importa anche perché, spesso, in quegli appalti ci sono amici e parenti. E come si fa a tagliare? Meglio scendere in piazza e urlare al complotto. Certo, è più facile ritoccare, ricalcolare, racimolare attraverso il canone quello che in cassa manca. “Meglio far pagare a tutti e di meno” propone il Direttore Generale Gubitosi. Una boutade di quelle sognate di notte forse dopo una cena abbondante.
Perché questa gente non ha il coraggio di ammettere che una tv come la Rai è superata e, se rimane in piedi, è solo grazie alla politica?
LE SPESE DEL PERSONALE
Al 31 dicembre 2011 la Rai ha avuto un organico di 10.196 unità.
Il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ha ribadito che l’attuazione del decreto non subirà ostacoli. Ce lo auguriamo. Il mondo cambia ed è ora che anche i dipendenti pubblici e, soprattutto, quel famoso manuale Cencelli ovvero quella:”formula algebrico-deterministica per regolare la spartizione delle cariche pubbliche in base al peso elettorale di ogni singolo partito o corrente politica”. L’ideologo di questo manuale fu Massimiliano Cencelli, un funzionario della Democrazia Cristiana. Cencelli ha permesso, in questi anni, di fare dell’azienda pubblica una cosa privata assumendo amici degli amici, parenti e figli di questo e quel funzionario di partito. Nel frattempo, i sessantottini che giocavano in piazza a fare la rivoluzione, hanno rubato il futuro a migliaia di giovani senza tessere di partito e non iscritti in nessun libro paga di qualche imprenditore. Quei sessantottini, da oltre un trentennio, comandano la Rai.
ZdO