A distanza di 23 anni dalla pseudo rivoluzione ‘tangentara’ italiana, le cose cominciano a delinearsi in un quadro più ampio. Antonio Del Furbo
A essere sotto attacco, in quegli anni, soprattutto la sovranità italiana e, quindi, la Lira. Moneta, tra l’altro, tra le più potenti e sui cui l’allora governatore di Bankitalia, Carlo Azeglio Ciampi, operò una manovra che in tanti, ancora oggi, definiscono disastrosa.
In autonomia, Ciampi, decise di alzare i tassi d’interesse che portò a una declassazione della Lira pari al 30%. Ciò comportò una crisi dalla quale l’Italia si salvò. Bettino Craxi, all’epoca presidente del Consiglio, denunciò George Soros perché lo ritenne responsabile di un piano, studiato a tavolino, per l’indebolimento dell’Italia. Soros, in effetti, vendette i risparmi incassando una plusvalenza, appunto, del 30%.
Paolo Cirino Pomicino, allora ministro del Bilancio, è netto nel suo giudizio:“La questione della svalutazione della Lira è una storia del tradimento della Repubblica”. E aggiunge:“all’inizio del 1990 la Lira era nella cosiddetta banda larga del Sistema Monetario Europeo (SME). Nel gennaio del ’90 accadde che il governatore della banca d’Italia” decise “di far passare la Lira dalla banda larga alla banda stretta”. Ciò fu fatto:”ma io non ho mai capito il motivo” precisa l’ex ministro.
L’agenzia internazionale Moody’s declassò la moneta italiana e nel settembre del 1992 iniziò l’attacco alla Lira che, al fine di essere difesa, venne svalutata del 30% dal Governo Amato.
“Il governatore della Banca d’Italia Ciampi in poche settimane distrusse 15mila milliardi di lire” precisò Bettino Craxi. “Alcuni soliti noti trasferirono in valuta estera ben 30mila miliardi di lire che in quindici giorni avevano perso il 30% del valore. Chi effettuò questa operazione si trovò in dollari una plusvalenza del 30%, ovvero 9mila miliardi in più esentasse” ha raccontato Pomicino.
“Soros fece una colossale speculazione sulla Lira” aggiunse ancora Craxi “dopo questa sua impresa, a riconoscimento, ebbe la laurea a Honoris causa dell’Università di Bologna”.
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L’11 settembre del 1992, la Lira e la Sterlina uscirono dallo Sme. Fu il disastro. I tassi sul mercato monetario sfiorarono il 40 per cento.
In quel periodo c’erano piccoli focolai sparsi in Europa che creavano tensioni nel mercato. Uno di questi fu il referendum danese contro la ratifica del trattato di Maastricht. Ciò rappresentò non poca preoccupazione per gli addetti ai lavori tanto che Fabrizio Saccomanni scrisse nel suo libro:“I mercati sono rapidissimi a realizzare le implicazioni del referendum e un’ondata speculativa senza precedenti investe anzitutto le valute Sme le cui economie presentano maggiori criticità sul fronte dei fattori fondamentali, rendendo le parità poco credibili: la lira è una delle vittime più colpite”:
La tensione fu generale: dalla Francia alla Germania si pensò che non ci potevano essere presupposti validi per la convergenza per ridurre i tassi ufficiali. E la crisi, proprio per Ciampi, “si poteva superare solo reinterpretando lo Sme quale anticipazione della moneta unica”. Intanto a settembre l’Italia diede il via libera alla svalutazione della Lira e la Germania ridusse il tasso di sconto di un minuscolo quarto di punto.
Il presidente del consiglio Romano Prodi nel 1996 incontrò il premier spagnolo Aznar per convincerlo a ritardare l’ingresso nella moneta unica e formare un’asse del mediterraneo. Ma la risposta fu netta: Madrid voleva entrarci subito. Prodi, rientrato in Italia, con Ciampi ministro del Tesoro, inserì nella maxifinanziaria del 1997 l’Eurotassa, generando l’aumento di 2 punti della pressione fiscale. Ciò generò il rientro nello Sme.
Tanto per cambiare, però, Germania, Olanda e banchieri centrali dell’Ime non si fidavano dell’Italia. Il debito pubblico, per loro, non sarebbe stato ridotto. Ciampi prese l’impegno di ridurre il rapporto debito/Pil al 100% entro sei anni. A fine marzo 1998 l’Ime e la Commissione europea certificarono che il rapporto fra debito e Pil italiano “andava riducendosi in misura sufficiente, avvicinandosi al valore di riferimento con ritmo adeguato”. Ciò permise nel 1998 l’ingresso dell’Italia nella lista degli undici partecipanti alla moneta unica.
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