Il grido di dolore parte da Bergamo, dalla città duramente colpita dalla pandemia da Covid-19. Ed è ancora lì l’immagine dei carri dell’esercito che, in una notte, hanno caricato e portato via decine di corpi uccisi dal virus. Persone a cui è stato negato un funerale. Cosa accadrà quando la pandemia finirà?
L’eco del dolore investe tutta la Val Seriana. Un dolore che si trasforma in protesta e che ha già individuato il nemico: l’autorità. È un nemico responsabile di non aver dichiarato la zona rossa a tempo debito. È un grido, quello dei residenti, che investe la Protezione civile nazionale responsabile di aver fatto perdere tempo, lasciando senza mascherine la prima linea di medici, infermieri, ospedali e case di riposo. C’è, ovviamente, il risentimento contro il partito trasversale Lega-Pd: quelli che all’inizio della catastrofe invitavano i cittadini a uscire come sempre, in nome dell’economia e dell’industria.
Un dato è certo: quando la normalità riacquisterà la sua forza, il ministero della Giustizia dovrà rinforzare i propri uffici per via delle centinaia di esposti che arriveranno da tutta Italia.
Oggi le attenzioni sono rivolte alla sopravvivenza del momento e non c’è tempo per chiedere il conto alle istituzioni. Ma presto il conto verrà presentato dai cittadini e, soprattutto, da chi ha versato le lacrime dell’addio. “Quando tutto sarà finito, chi ha sbagliato e girato la testa dall’altra parte dovrà pagare. Denunceremo e chiederemo giustizia. In memoria di mio padre e di tutti quelli che, insieme a lui, sono morti (e moriranno)”. Luca Fusco, amministratore del gruppo “Noi denunceremo”, ha dato voce a una protesta che conta quasi 35mila iscritti. “Questo gruppo nasce per un bisogno di giustizia e di verità per dare pace ai nostri morti che non hanno potuto avere nemmeno una degna sepoltura a seguito della pandemia di Coronavirus – Covid19. Quando tutto sarà finito, chi ha sbagliato e girato la testa dall’altra parte dovrà pagare.”
Le storie
E poi ci sono storie, come quella di Sara, che dice: “Oggi dopo ben 33 giorni dalla sua morte ho accompagnato la mia mamma al cimitero ….ti amerò per sempre mammina!”. Giusy racconta che “il 3 marzo chiamo il 112 perché mia madre ha febbre alta (39.5) e tosse fortissima. Viene dimessa lo stesso giorno dal pronto soccorso di Chiari. Diagnosi: polmonite, ma il tampone non le viene fatto in quanto “non è Covid”. La madre, dopo pochi giorni, muore.
Perché dalla delibera del premier Giuseppe Conte del 31 gennaio nessuno aveva capito cosa stesse succedendo?
Sul focolaio di Codogno la Regione Lombardia pare essere intervenuta in maniera tempestiva. Poi, però, in provincia di Bergamo ha lasciato le porte aperte all’infezione. A inizio epidemia il dipartimento nazionale della Protezione civile firmava provvedimenti che hanno fatto perdere giorni e contatti preziosi. Come, ad esempio, la scelta di incaricare per il pagamento dei fornitori all’estero una società a responsabilità limitata specializzata nell’importazione di gadget. Una decisione voluta dall’Ufficio VI-Amministrazione e bilancio e che ha compromesso il rapporto privilegiato che lo Stato italiano stava avviando con importanti produttori cinesi. Ci si poteva fidare di una srl cinese pressoché sconosciuta? Per la Protezione civile, evidentemente, sì.
L’arrivo di Borrelli
Con l’arrivo del secondo commissario, Angelo Borrelli, il caos è scoppiato alle dogane con il sequestro di tutte le forniture sanitarie e il via libera parziale di quanto è destinato a ospedali e aziende. Così perfino le grosse donazioni della comunità cinese in Italia vengono requisite. E all’estero nessuno ci fa più credito.
Le conseguenze arrivano lì, nella prima linea di combattimento: negli ospedali dove inizia la conta dei medici e degli infermieri morti. Inizia la strage delle persone anziane e nelle case di riposo favorita dalla mancanza di protezioni per il personale sanitario. E a volte dalle loro scelte. Così, mentre a Codogno scattava la zona rossa, ad Alzano Lombardo un ospedale è stato chiuso e riaperto in poche ore. “Nessuno ci ha avvertito che nei reparti c’erano pazienti positivi”, racconta alle cronache locali Francesco Zambonelli, 55 anni, di Villa Serio, che ha perso il padre, la madre e una zia.
Nessuno parla, nessuno riferisce cosa stava accadendo in quelle ore.
La Regione Lombardia minaccia il licenziamento di chiunque parli e mantiene nascosta la protesta che monta tra medici e infermieri. Il sindacato Nursind è inondata di segnalazioni. Negli ospedali più importanti di Milano, agli infermieri viene chiesto di riutilizzare camici e protezioni monouso. I pazienti non-Covid non vengono riforniti nemmeno di mascherina chirurgica. Il personale rinuncia ai pasti per non spogliarsi e dover sostituire la tuta.
Intanto, ad oggi, i medici deceduti raggiungono quota 100 per l’epidemia di Covid 19. “Una tragedia” la definisce Walter Ricciardi, membro del Comitato esecutivo dell’Organizzazione italiana della sanità (Oms) e consigliere del ministro della Salute, Roberto Speranza, per l’emergenza Covid19. Ai medici si aggiungono 26 infermieri e cinque ausiliari, la più giovane di 36 anni, morti nei giorni scorsi dopo aver contratto il virus nei reparti.
“Valutazione Piano Pandemico Regionale del 22 dicembre 2010″
Eppure, proprio in Lombardia, un documento, licenziato ancora sotto Roberto Formigoni, riferiva in maniera dettagliata le criticità del sistema sanitario in caso di pandemia. Un piano che “si impone come una attenta riflessione ed analisi per procedere ad una eventuale ‘manutenzione’ del Piano Pandemico Regionale, affinché si faccia tesoro delle criticità insorte e delle soluzioni individuate nel corso d’opera e ritenute più adeguate all’evento rispetto a quelle programmate nel piano”. Un piano che, dettagliatamente, riferiva di pesanti carenze anche nei rapporti con le Residenze sanitarie assistenziali, le case di riposo dove oggi si stanno registrando decine di decessi.
Gli emendamenti
E probabilmente per queste crepe che si sono registrate, e continuano a registrarsi, che la politica tenta di mettere un tappo alle conseguenze che prima o dopo ci saranno. La corsa agli emendamenti per salvare politici e amministratori dal disastro coronavirus è il tema di questi giorni. Si tratta di uno scudo penale, come abbiamo raccontato, in cui si stanno adoperando partiti di destra e sinistra. Prima un emendamento del Partito democratico a firma Andrea Marcucci, poi un altro a firma Lega.
Le associazioni sul piede di guerra
Proprio per questo anche le associazioni dei cittadini stanno mettendo a punto strategie da “combattimento”. Il Codacons, ad esempio, punta il dito contro la politica: “Da tutta Italia arrivano segnalazioni di malati e parenti dei deceduti che denunciano difficoltà nel sottoporsi ai tamponi, mettersi in contatto con gli organi sanitari locali o ricevere in modo tempestivo le necessarie cure mediche – spiega il Codacons – una situazione che sta portando diversi parlamentari a presentare vergognosi emendamenti al decreto Cura Italia finalizzati proprio a cancellare con un colpo di spugna le responsabilità civili e penali di istituzioni e strutture sanitarie in caso di omessa assistenza ai pazienti, violando in modo palese la Costituzione Italiana”.
Ed è per questo che l’associazione “chiede di accertare eventuali carenze ed omissioni da parte degli enti locali e delle strutture sanitarie nella cura dei soggetti affetti da Covid-19, sequestrando tutte le cartelle cliniche e le attestazioni dei deceduti in regione.” L’associazione ha presentato già un esposto a 104 procure, tra cui quelle competenti per il Trentino-Alto Adige, in cui si chiede di indagare i responsabili per il reato di concorso in epidemia.
La denuncia per Conte
Una denuncia è pronta anche per il premier, Giuseppe Conte, da parte dell’avvocato Carlo Taormina. Secondo il legale, infatti, lo Stato italiano avrebbe impiegato troppo tempo per prendere i provvedimenti di chiusura e interruzione delle attività lavorative – il famoso lockdown -, mentre era a conoscenza dell’emergenza sanitaria da tempo. “Sapevano tutto dal 5 gennaio perché avvertiti anche dai cinesi che avevano raccomandato di chiudere tutto e subito e avevano cinesi ricoverati allo Spallanzani. L’OMS aveva dichiarato lo stato di emergenza preannunciando la pandemia.Loro hanno dichiarato lo stato di emergenza il 31 gennaio. Questo potrebbe essere addirittura dolo eventuale rispetto alla criminale propagazione del virus, ma certamente è senza discussione epidemia colposa». In realtà, l’OMS ha dichiarato la pandemia globale lo scorso 11 marzo, quando già erano state disposte le prime chiusure in Italia con il primo DPCM.”
Secondo Carlo Taormina, il governo ha impiegato 40 giorni per prendere i provvedimenti di chiusura delle attività. Il riferimento non solo alle prime avvisaglie delle coppia cinese ricoverata allo Spallanzani di Roma, ma anche alla dichiarazione di Stato di emergenza che risale al 31 gennaio scorso. Per l’avvocato, tutti i morti che si sono accumulati sono figli di quel ritardo decisionale.
La circolare sparita
Il “paziente uno” potrebbe essere un anziano ammalatosi di Covid a gennaio, ricoverato in una clinica privata di Piacenza per poi essere portato via da personale che indossava tute da biocontenimento. A raccontarlo un’infermiera della clinica Piacenza del gruppo Sanna, dove adesso sono in malattia ben 150 operatori su 250. Alcuni di loro si sono ammalati poco prima che a Codogno venisse diagnosticato il primo caso ufficiale di coronavirus.
Dunque, l’anziano risultato positivo, potrebbe essere il paziente numero uno, secondo l’inchiesta di Report. Un paziente ammalatosi ben prima di Mattia e non a Codogno.
La circolare scomparsa
Report scopre che il 22 gennaio una circolare del ministero della Salute dà due indicazioni: cercare nei pazienti sospetti un link con la Cina ma anche una polmonite che non risponde alle cure. Questo secondo punto scompare in una circolare di cinque giorni dopo per ricomparire solo il 9 marzo. E nel frattempo il virus dilaga cogliendo l’Italia impreparata.