Ancora un cameraman ucciso nei territori di guerra. In Egitto, dove in queste ore si sta consumando un vero e proprio massacro umano, tra i 638 morti c’è anche Mick Deane, cameraman di Skynews che si trovava tra quei 3500 feriti. E nessuno, siamo sicuri, gli intitolerà un premio.
Ancora un cameraman ucciso nei territori di guerra. In Egitto, dove in queste ore si sta consumando un vero e proprio massacro umano, tra i 638 morti c’è anche Mick Deane, cameraman di Skynews che si trovava tra quei 3500 feriti. E nessuno, siamo sicuri, gli intitolerà un premio.
L’alto stile inglese
L’omaggio all’uomo e il cordoglio alla famiglia sono arrivati persino dal Primo Ministro inglese David Cameron che ha inviato una lettera alla famiglia e rilasciato una lunga intervista a ‘Skynews’. «Sono addolorato per la morte di Mick Deane» ha dichiarato Cameron che ha aggiunto:«Si tratta di un lavoro estremamente pericoloso ma, allo stesso tempo, molto importante per tutti noi. Ci ha raccontato cosa stesse succedendo in Egitto e di questo gliene siamo grati. Ora – ha concluso il Primo Ministro – i nostri pensieri e il nostro calore devono raggiungere la famiglia e gli amici di Mick che stanno attraversando un momento difficilissimo».
L’amministratore delegato del gruppo BSkyB ha dichiarato che:«Mick Deane lo ricorda come un uomo di coraggio e di forte impegno». Poi ha aggiunto:«Il nostro più profondo cordoglio va alla famiglia che in questo momento attraversa un forte dolore per la perdita del caro Mike. Tutta la famiglia di Skynews farà il possibile per aiutarli»
Mick Deane ha lavorato per Sky per 15 anni, prima nella sede di Washington e poi a Gerusalemme. Viveva nel Northamptonshire ed è nato a Hannover, Germania. Prima di Sky, ha lavorato per la CNN e ITN.
Il capo di Sky, John Ryley, ha descritto Deane come il miglior cameraman nonché brillante giornalista che ha ispirato molti dei suoi colleghi. «Ha avuto idee brillanti – continua Ryley – un uomo divertente e allegro». Tim Marshall di ‘Sky Esteri’ lo definisce:«un uomo con un grande cuore e coraggioso come un leone».
In Italia solo premi a giornalisti
Al ‘Bel Paese’ dei morti che non siano giornalisti pare non interessare nulla. L’unico caso rimasto nella testa dei ‘professionisti dell’informazione’ e a cui tanti fanno finta di sposarne anima e metodo è quello di Ilaria Alpi. La giornalista e il cameraman Miran Hrovatin furono assassinati a Mogadiscio, il 20 marzo 1994. Di quel tragico evento si trovano solo e soltanto informazioni riguardanti Ilaria Alpi. Migliaia di pagine che raccontano minuziosamente fatti e inchieste e che ruotano tutte in torno alla giornalista. Eppure anche Miran Hrovatin è stato ammazzato. Per molti dei colleghi della Alpi Miran è stato un morto di serie B. L’esecuzione dei due professionisti è stata fatta su commissione per:«Impedire che le notizie raccolte dalla Alpi e dal Hrovatin in ordine ai traffici di armi e di rifiuti tossici…venissero portati a conoscenza dell’opinione pubblica…». questo si legge nelle inchieste della magistratura e nei rapporti delle commissioni d’inchiesta. I due avevano scoperto traffici illeciti gestiti dalla mafia, ‘ndrangheta e camorra. La torbida storia però si allarga e prende pieghe oscure. Ilaria e Miran scoprono che all’inchiesta che stanno conducendo sono collegati fatti tragici: il delitto di Rostagno, la tragedia del traghetto Moby Prince (1991), l’omicidio dell’ufficiale del Sismi Vincenzo Li Causi avvenuto proprio a Mogadiscio pochi mesi prima del loro assassinio. Ufficiali e sottufficiali con nomi e cognomi erano d’istanza a Mogadiscio in quei giorni: il generale Carmine Fiore, il colonnello Luca Rayola Pescarini responsabile del SISMI, il colonnello Fulvio Vezzalini a capo dell’intelligence dell’UNOSOM. Poi c’era l’ambasciatore italiano in Somalia Mario Scialoja e persino un nucleo di carabinieri del Tuscania con compiti di indagine. Quando furono assassinati Ilaria e Miran nessuno dei suddetti si recò sul posto. Un filmato della ‘ABC’ racconta che Ilaria era ancora viva quando sul posto arrivò Giancarlo Marocchino.
Chi è Giancarlo Marocchino?
Il piemontese Giancarlo Marocchino, nato nel 1945 a Borgosesia, in provincia di Vercelli, nel 1992 aveva reclutato 150 miliziani e messo insieme un vero e proprio arsenale di guerra: kashnikov, mitragliette Browning 050 e M16. Dal 1984 era fuggito dall’Italia e si era reinventato un’attività commerciale. Ai somali appariva come un benefattore che scaricava viveri e aiuti umanitari vigilando, al tempo stesso, su medicinali e derrate alimentari perché non fossero saccheggiati. durnate la missione Unosom ‘Restore Hope’ fu arrestato dal contingente americano perché accusato di traffico di armi. A gennaio 1994 il provvedimento fu revocato e l’indagine archiviata nel 1995. A cavallo della vicenda si consumò la tragedia di Hrovatin e Alpi, assassinati il 20 marzo 1994 a Mogadiscio. Marocchino arrivò per primo sul luogo dell’agguato testimonianze ne furono i filmati della televisione svizzera (RTSI) e americana (ABC). Fu lui a estrarre i corpi dal fuoristrada e successivamente a dirigersi verso il porto della città e darli in consegna ai militari italiani. In quel momento Alpi respirava ancora mentre Hrovatin era morto. A caldo, Marocchino disse:«Si vede che sono andati dove non dovevano andare», parole che poi furono smentite da lui stesso. Raffaello De Brasi, vicepresidente della commissione Alpi-Hrovatin, è sempre stato convinto che:«dal nostro lavoro di audizioni e di testimonianze, in maniera anche esplicita, anche dalla magistratura, ci viene detto che Marocchino, non solo per le conoscenze che aveva della Somalia, fosse un agente del Sismi». Tant’è che conobbe anche Vincenzo Li Causi, informatore della Alpi, morto in un agguato nel Corno d’Africa mentre indagava sul ‘Progetto Urano’, l’illecito smaltimento di rifiuti industriali tossico-nocivi e radioattivi provenienti da Paesi europei. Il console onorario della Somalia Ezio Scaglione, quando venne interrogato dal pm di Asti Luciano Tarditi disse che:««Si poteva[no] smaltire rifiuti radioattivi e preciso che Giancarlo Marocchino, in una delle varie conversazioni telefoniche che io ebbi con lui personalmente, mi parlò della costruzione di un porto nella zona a nord di Mogadiscio, in localita El-Ma’an, sostenendo di poter nella banchina, annegandoli nel cemento, stivare rifiuti radioattivi».
«Hrovatin e Alpi erano lì in vacanza»
Quindi la commissione parlamentare che, in una relazione conclusiva del suo presidente Carlo Taormina, parlò di «Ilaria Alpi morta a causa di una rapina. Era in vacanza non stava facendo nessuna inchiesta, la commissione che presiedevo lo ha accertato. Ho un documento che manterrò privato per rispetto alla sua memoria che racconta tutta un’altra storia».
La commissione d’inchiesta, coadiuvata dallo stesso Marocchino che fu sospettato di essere il mandante dell’omicidio dalla Digos di Udine, fu al centro d’infuocate polemiche per gli uomini coinvolti al suo interno e il metodo adottato. Carlo Taormina, presidente della commissione, fu anche l’avvocato del generale Carmine Fiore, il comandante del contingente italiano che querelò per diffamazione Luciana Alpi, la madre di Ilaria, poi assolta per aver detto che l’ufficiale era un bugiardo quando affermava che i corpi dei giornalisti erano stati recuperati dai militari. La Toyota Hilux, in cui viaggiavano la giornalista e l’operatore, non era quella che fu analizzata dall’autorità giudiziaria tant’è che le tracce ematiche non appartenevano a nessuno dei due deceduti. Marocchino si vantò dell’intermediazione avuta con Sheikh Abdi Yusuf, detto “Iriri” grazie al quale riottenne il pickup. Il giornalista de ‘il Manifesto’ Gianni Lannes scrisse che Yusuf, con un’informativa del Sisde di Roma 1, fu segnalato come “implicato in truffe finanziarie”.
Gi strani comportamenti dei militari
Mariangela Gritta Grainer della Commissione Inchiesta sulla Cooperazione 1995-1996 ha raccontato che:«gli spari furono ben udibili dall’ambasciata italiana a 50 metri dal delitto ma nessuno intervenne. Una vera e propria omissione di soccorso» puntualizza Grainer. E aggiunge:«nessun militiare, nessun carabiniere e nessuna autorità, neanche dell’Intelligence che stava a poco meno di 50 metri dalle vittime e comandata dal colonnello Fulvio Vezzalini». Dall’auto non vengono prelevate impronte, non vengono fatte indagini nonostante l’ambasciatore avesse compiti d’indagine. La Alpi annotava tutto su alcuni taccuini, ne aveva cinque di cui due sparirono al momento del ritrovamento dei corpi. Delle cassette di Hrovatin vengono recuperate solo sei e, inoltre, vengono perse le foto scattate ai corpi sulla nave Garibaldi, il rapporto dei medici americani e il certificato di morte di Ilaria.
La ‘Shifco’ e le operazioni di smaltimento illegali
A confermare il coinvolgimento dello smaltimento illecito dei rifiuti della criminalità organizzata è un collaboratore di giustizia: Francesco Fonti dell’ndrine. «Una nave della ‘Shifco’, quella dei pescherecci che il Governo Craxi aveva regalato alla Somalia, conteneva bidoni e casse di armi arrivate in Somalia. Una volta lì mi sono avvalso di personaggi tipo Marocchino, per lo scarico».
In un’altra testimonianza, lo stesso Fonti, racconta:«di contatti con i servizi segreti, quando negli affari erano coinvolti i De Stefano che in contatto col suo capobastone Romeo gli veniva ordinato di andare a Roma e vedersi con un certo Pino dei servizi segreti italiani, con il quale si discuteva sulla possibilità di smaltire le scorie. Ogni volta l’affare rendeva da un minimo di 4 miliardi di lire a un massimo di 30, soldi che venivano ritirate dal Fonti stesso con auto del Sismi. Almeno 30 il numero di navi affondate nel resto del Mediterraneo da altre cosche, e di traffici di questo tipo che arrivavano fino in Somalia, Kenya e nell’ex Zaire».
«Ilaria Alpi era sulle piste della flotta pagata dalla Cooperazione italiana, accusata dall’Onu di aver trasportato armi nel 1992. Il nome di Munye riappare nei file Usa» si legge dal sito dell’Osservatorio Ilaria Alpi. «’Perché questo caso è particolare’, scriveva sul suo bloc notes Ilaria Alpi tra il 14 e il 20 marzo 1994. Era a Bosaso, nell’estremo nord della Somalia, insieme al suo operatore Miran Hrovatin. Annotava con precisione ogni cosa, spunti per interviste, domande, testi per gli stand up. E in quelle poche pagine rimaste dei suoi quaderni, poco dopo la domanda chiave che ancora oggi non trova una risposta, appariva una delle tante chiavi di volta dell’intrigo somalo. Si chiama Shifco, ed era la compagnia statale di pesca di un governo somalo ormai inesistente. Aveva un padrone, un ingegnere che l’Italia la conosceva bene, Omar Said Munye. “Mugne”, scriveva Ilaria sul bloc notes, “Munye” aveva corretto qualcuno, una sua fonte rimasta ignota». Uno dei mandandi della morte di Hrovatin e Alpi pare provenga proprio da Bosaso e, pare, che abbia un nome e un cognome: Munye.
Come racconta ‘Famiglia Cristiana’:«Nel 1987, tra Milano e Roma, viene messo a punto un progetto, definito “Urano”, per insabbiare in tre località desertiche del Sahara grandi quantità di rifiuti industriali tossico-nocivi. Il 5 agosto 1987 il protocollo d’accordo è firmato da Elio Sacchetto, per la Compagnia Minera Rio de Oro, e da Luciano Spada, per la Instrumag A.G. A promuovere “Urano” (in Italia, in Europa, in Africa) risulta però essere Guido Garelli, 54 anni, che – secondo alcuni accertamenti – opera indifferentemente con documenti di identità italiani, somali o dell’Autorità territoriale del Sahara, e ama presentarsi come Guy Soulmeyman Rinaldi».
Stralci della Commissione d’Inchiesta
Omar Hashi era stato indicato alle autorità italiane come assassino assai prima del delitto Alpi Hrovatin. Il suo nome lo fa alle nostre autorità Ismail Moallin Mohamed, poliziotto somalo sotto la guida delle autorità italiane, poi rifugiatosi nel nostro Paese. Il Maggiore Giuseppe Attanasio in servizio a Mogadiscio afferma: «Confermo che Ismail Moallin Mohamed mi ha fatto cenno di sapere qualcosa sull’omicidio della Alpi e di Hrovatin». E quindi aggiunge in una successiva deposizione: «Hashi Omar Hassan, detto “Fawdo”, era un noto “morian” (bandito) (…). Il suo nome l’avevo appreso all’epoca proprio da Ismail Moallin Mohamed che l’aveva individuato come il responsabile dell’omicidio di una donna somala in Balad […] per questo lo aveva segnalato anche a noi per riuscire a catturarlo. (…) Tra noi e la polizia somala il rapporto era assai stretto (…). In una di queste riunioni ho saputo di questo Hashi Omar Hassan detto “Fawdo”».
Il blogger Giuseppe Palena dice:«L’autista di Ilaria, Ali Abdi, ha poi rinunciato al programma di protezione accordatogli nel nostro Paese e pochi giorni dopo il suo ritorno in Somalia è stato trovato morto (non si sa se per droga o avvelenamento, il termine somalo usato nei giornali di Mogadiscio che hanno dato la notizia ha entrambi i significati). Starlin Arush, una buona conoscente di Ilaria, presidente dell’associazione delle donne somale e impegnata anche a livello politico, dopo l’agguato del 20 marzo 1994 si era incontrata nella sua abitazione con l’autista di Ilaria, dopo aver rilasciato una nota intervista a Isabel Pisano (curatrice del documentario di cui si è detto e buona amica di Francesco Pazienza, per la trasmissione Format , andata in onda col titolo “Chi ha paura di Ilaria?”), è stata uccisa in circostanze misteriose, nel febbraio 2003, nel corso di una rapina lungo la strada che dall’aeroporto di Nairobi porta in città». Poi aggiunge:«Il colonnello Awes: capo della sicurezza dell’albergo Amana, nei pressi del quale avviene l’agguato mortale ai due giornalisti della Rai, è deceduto non si sa in quali circostanze né in quale periodo preciso. E’ stato forse l’ultimo che ha visto Ilaria e Miran vivi. Altri testimoni, o per lo meno persone ritratte nei filmati girati dalla Tv Abc nell’immediatezza del delitto, sono morte. Come, ad esempio, «l’uomo con la maglia gialla e grigio-azzurra» che si vede durante il trasporto del corpo di Ilaria sulla macchina di Giancarlo Marocchino (l’imprenditore italiano che per primo arriva sulla scena del delitto), mentre passa nelle mani dello stesso alcuni oggetti: un taccuino, una macchina fotografica, una radio trasmittente o un registratore. Di costui si sa che era un uomo della scorta di Marocchino, il quale ha riferito trattarsi di una persona (di cui non ha fornito il nome) deceduta «sparandosi accidentalmente».
I Due cameraman della ABC e di RTSI entrambi morti
Quando Hrovatin e Alpi furono uccisi sul luogo erano presenti due troupe televisive: la RTSI della Svizzera italiana e la ABC americana. Le immagini dei corpi accasciati nell’abitacolo del loro fuoristrada furono girate dall’operatore della ABC. Qualche mese dopo l’operatore Carlos Mavroleon venne ucciso a Kabul in una stanza d’albergo. Mavroleon, un produttore televisivo freelance e cameraman in missione per il telegiornale della CBS, è stato trovato morto in una stanza d’albergo a Peshawar in apparente overdose, secondo i funzionari pakistani. Anche se il governo del Pakistan ha concluso che la causa della morte è stata “avvelenamento eroina”. Colleghi e membri della famiglia credono Mavroleon potrebbe essere stato ucciso per il suo lavoro giornalistico. Mavroleon era arrivato a Peshawar il 23 agosto. Il 25 agosto, Mavroleon fu arrestato e incarcerato durante la notte in Miranshah, una città nel nord Waziristan, al confine afghano. Dopo essere stato interrogato da agenti pakistani dal Bureau Intelligence e Inter-Services Intelligence, è stato rilasciato nel pomeriggio del 26 agosto e rimandato a Peshawar in autobus. Nei messaggi telefonici per la ABC, Mavroleon aveva detto che si trovava “in terribili guai”. La mattina del 27 agosto, Mavroleon incontrò Peter Jouvenal, un cameraman britannico e vecchio amico, e Rahimullah Yusufzai, Peshawar capo ufficio per il quotidiano pakistano The News . Scherzarono su un articolo apparso sulla stampa locale in lingua urdu che lo etichettava come giornalista “spia”. Sono stati gli ultimi colleghi a vederlo vivo. Mavroleon morì di “asfissia dovuta al consumo di eroina (morfina diacetile) intossicazione” intorno alle 18:00, secondo il rapporto ufficiale dell’autopsia. Vittorio Lenzi, operatore della troupe svizzera-italiana è rimasto vittima di un incidente stradale sul lungolago di Lugano (mai chiarito del tutto nella dinamica).
«Io so. Io so i nomi dei responsabili»
Nella scena 1 della sceneggiatura del film «Ilaria Alpi. Il più crudele dei giorni», firmata da Marcello Fois e da Ferdinando Vicentini Orgnani pubblicata dall’editore Frassinelli, alla fine, quando i due sono stati raggiunti dalle pallottole, Ilaria, ancora viva, dice:«Io so. Io so i nomi dei responsabili… I responsabili della strage di Milano, di quella di Brescia e di Bologna…».
di Antonio Del Furbo