Per Francavilla e Pescara, i cittadini disabili esistono?
Le città di Francavilla al Mare e Pescara non si adattano, per molti aspetti, alla vita delle persone con diabilità. Un viaggio nel mondo della disabilità di Marirosa Barbieri
A Claudio. Non possiamo dire di essere brave persone se non rubiamo, non uccidiamo ma poi giudichiamo; non possiamo dire di capire una persona disabile se fingiamo di comprenderla e non facciamo nulla di concreto per aiutarla. Le città di Francavilla al Mare e Pescara non si adattano, per molti aspetti, alla vita delle persone con diabilità. Ho deciso di vivere un’intera giornata su quattro ruote (quelle della sedia a rotelle) per sperimentare, fino in fondo, le difficoltà quotidiane con cui queste persone si misurano. Ed ho scoperto, anzi ho finalmente visto, i gradini troppo alti, gli avvallamenti, i marciapiedi dissestati, la pietà stampata a caratteri cubitali sui volti della gente. Ho imparato ad apprezzare persino le mie scarpe ed ho capito che la disabilità non esisterebbe se esistesse, invece, una spiccata sensibilità sociale.
Diario di una giornata da persona disabile
Sono le ore 7,30 del mattino. Il trillo della sveglia, come ogni giorno, mi scaraventa nel mondo reale. Stamattina non poltrisco sotto le lenzuola: so che mi aspetta un’esperienza nuova e, per certi versi, affascinante. Appoggio gli occhi sul pavimento (posso fare solo quello, dal momento che devo fingermi persona disabile e senza l’uso delle gambe). Mi sollevo, guardo la sedia a rotelle che la sera prima ho posizionato al capezzale del mio letto. La fisso un pò, sospiro e mi domando se sia il caso di usarla o no. Poi mi viene in mente il viso espressivo di Claudio Ferrante (il presidente di Carrozzine Determinate Abruzzo). E’ lui che mi ha prestato la carrozzina e, nelle sue parole ferme, finalmente ritrovo il coraggio. Le prime difficoltà che incontra una persona disabile sono proprio dentro casa: nel wc, nel bidet, nella vasca da bagno, in una mensola troppo alta. La legge numero numero13 del 1989 “Disposizioni per favorire il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati” stabilisce che le persone con disabilità devono ricevere sovvenzioni pubbliche per adattare le proprie abitazioni alla loro condizione. “In Abruzzo”, mi racconta Cluadio, “questo fondo è stato azzerato con l’inevitabile conseguenza che le persone disabili meno abbienti devono autofinanziarsi per adattare le abitazioni private alle proprie esigenze”. Claudo Ferrante guida proteste e manifestazioni in difesa dei diritti delle persone disabili con tenacia e determinazione ma la sensibilità delle istituzioni abruzzesi nei confronti del problema resta ancora molto forte.
“Basti pensare che la Regione Abruzzo ha approvato nei giorni scorsi un provvedimento che prevede un taglio lineare e retroattivo delle prestazioni riabilitative del 10% rispetto a quelle effettuate nell’anno 2012”, dice Claudio, “con la conseguenza che, a causa dei tagli, diventerà pressocchè impossibile effettuare moltissime prestazioni riabilitative quali: fisiochinesiterapia, logopedia, psicomotricità, solo per citarne alcune. Molte persone e bimbi disabili saranno costretti a fare i conti con lunghissime liste di attesa. Per alcune patologie, effettuare con ritardo la riabilitazione, significa perdere tempo prezioso che non fa recuperare gli svantaggi che le malattie provocano, soprattutto nell’età evolutiva”. Ritorniamo alla mia esperienza: mi avvicino ai fornelli e preparo la colazione (almeno ci provo). La tazza che abitualmente utilizzo per bere il latte è posizionata troppo in alto. Ok, rinuncio al latte. La marmellata è al secondo scaffale della dispensa. Ok rinuncio alla marmellata. Per fortuna i biscotti sono nello stipo basso della cucina. Mangerò quelli con il caffè che ho già messo sul fuoco. Le prime rinunce avvengono dentro casa. Il bagno lo vedo come una montagna insormontabile, stamattina. Il lavabo è diventato improvvisamente un grattacielo; tendo lo spazzolino e non riesco a posizionarlo in modo tale da bagnarlo.
Mi arrabbio, mi protendo, mi ricordo che le gambe, per oggi, devono stare a bada. Sto per rinunciarvi ma poi dico a me stessa di non farlo proprio perchè, devo farcela. Riesco a bagnare lo spazzolino e provo una grande gioia: ho vinto la scommessa. Lo specchio nel mio bagno è troppo in alto: decido di truccarmi in sala. Mi vesto aiutandomi, stavolta, con le gambe. Chiamo mio cugino: sarà il mio assistente personale stamattina. E’ stata dura convincerlo a prestarsi al ruolo. Neppure lui che è avvezzo alle mie pazzie riesce a capire fino in fondo il senso di questo esperimento. E pur non comprendendolo, questa volta, mi asseconda con più entusiasmodel solito.
“Non mi guardare così”, gli dico quando viene a prendermi a casa per portarmi in giro.
Prendo l’ascensore, esco tranquillamente e decido di affrontare il tratto di marciapiede che normlamente percorro e che ora si è trasformato in un percorso ad ostacoli.
Francavilla Dis-abile
Abito in via Adriatica nord. Il marciapiede sotto casa è indescrivibile. Avvallamenti, fossi, buche, concentrati in uno strettissimo lembo di cemento. Le macchine sfrecciano e quasi sfiorano la carrozzina che puntualmente si inceppa tra un dosso ed un altro. Non riesco a fare manovra. Resto ferma, immobile, sotto il sole cocente. Mio cugino mi sollecita ad abbandonare il campo. Io non mollo. La sensibilirà dei passanti mi commuove. L’insensibilità di alcuni conducenti che parcheggiano sul marciapeide impedendomi di passare, mi irrita. Guardo mio cugino con occhi smarriti. Lui accenna ad aiutarmi. Gli chiedo di non farlo. Gli chiedo di riprendere, con la videocamera, tutto quanto. Per continuare il mio tragitto devo scendere dal marciapiede, cercando di schivare macchine in corsa, macchine in sosta e buche: la mia incolumità da persona disabile va a farsi benedire. La carrozzina si inclina pericolosamente. Muovo le gambe e la mano ferma del mio accompagnatore mi frena. E’ allora che penso: se non ci fosse stato lui e se non avessi avuto le mie gambe, probabilmente sarei morta, investita. La pensione d’invalidità civile di una persona disabile ammonta a 275 euro al mese(quanto un politico della Regione percepisce in un solo giorno) ed è pertanto impossibile assumere un accompagnatore a tempo pieno. Decido di spostarmi su via Delle Driadi (zona centrale di Francavilla al Mare). La situazione non migliora anzi, è anche peggiore. Sui marciapiedi si alternano alberi. Le radici delle piante hanno creato innalzamenti pericolosi. Transitare è impossibile: l’unica soluzione è imboccare un’altra via, quella del ritorno.
Pescara: parco e pensiline offlimits
Ore 11,30: Pescara è rovente; il termometro segna 35 gradi. Grondiamo sudore.
Aspettiamo l’autobus alla fermata: l’obiettivo è capire se i mezzi pubblici dispongono o meno delle piattaforme per far salire le persone disabili. Prendiamo l’autobus numero 2, direzione Francavilla. L’autista si accorge di me: il suo sguardo, la flemma con cui scende dal bus per aiutarmi a salire mi trasformano, d’un tratto, in ragazza disabile. Indossa un guanto usa e getta, estrae manualmente la pedana sotto gli occhi incuriositi dei viaggiatori. Occhi puntati su di me: sono entrata nel pieno della mia disabilità. Perchè non posso salire sull’autoobus autonomamente e senza le braccia dell’autista? Perchè le pedane non funzionano automaticamente così da evitarmi il disagio psicologico di essere assistita dal conducente? Incontro la pietà umana della gente appena salgo e cerco di indossare la cintura di sicurezza. Una signora con le busta della spesa in mano mi guarda dispiaciuta ed abbozza un sorriso castigato. Provo rabbia e penso: perchè diavolo mi guarda?Non ho mica bisogno della sua pietà. Poi provo io pietà per lei: la società ci ha ghettizzati, ci ha fatto sentitre diversi, dunque non è colpa sua se ci guarda così. E poi ci ripenso: no, è proprio colpa sua; è colpa del singolo individuo se la società ci guarda con occhi pietosi; il singolo individuo ha il potere di cambiare le cose, perchè il singolo individuo è il vero protagonista della società. Mi viene in mente la Convenzione Onu sui diritti delle persone disabili: “la nostra Bibbia”, mi ha detto Claudio, quella che, all’articolo 9 parla di accessibilità e dell’ obbligo di uno Stato parte di garantire il pieno accesso ai servizi e luoghi pubblici, alle persone disabili. Scesi dal bus (con il solito meccanismo manuale) veniamo abbandonati su una pensilina. Il gradino è alto e non posso scendere. Mi guardo a destra, poi a sinistra. Su entrambi i lati ci sono due siepi che mi impediscono di passare e di trovare, quindi, uno sbocco. Davanti a me il gradone. Attorno a me, il deserto. Dentro di me, il pianto. Ho sete. Decidiamo di entrare in un bar. Trovare parcheggio è un’impresa ardua. Mi accorgo che i parcheggi per persone disabili sono davvero pochi: non ci avevo mai fatto caso. Come non avevo mai fatto caso al fatto che molte auto in sosta disabile non recano il contrassegno disabili. Ordiniamo una Coca Cola. Mio cugino è visibilmente provato. “Dai, fra un pò torniamo a casa”, gli dico. Mi sorride. Decido di verificare le condizioni dei bagni e resto piacevolmente stupita: la toilette per disabili è attrezzatissima. Restituisco le chiavi, contenta e soddisfatta e sorseggio la mia Coca Cola. Usciamo dal bar: ci guardiamo negli occhi; capiamo che non è il momento di tornare a casa: siamo nel vivo dell’esperienza. Parco D’Avalos è la tappa successiva. Passeggiata? Certo e magari ci scappa pure un bel riposino al fresco del parco. Discese, sassolini ed avvallamenti: il percorso vita (così è stato intitolato il passeggio in un tratto del parco) per me è diventato percorso morte. Mi faccio spingere, le braccia cominciano a risentirne. Claudio mi aveva avvisato, del resto: “ti faranno male le braccia, il giorno dopo l’esperimento”. Mi fanno già male. Zampilli di acqua sul viso, mi fermo a respirare: nessuno può impedirmi di respirare. Non c’è barriera architettonica al respiro. Nel respiro, ritrovo la serenità. “E se ora volessi prendere un treno ed andare a Teramo a trovare mia zia? E se ora mi avessero comunicato un lieto evento o una tragedia e dovessi raggiungere improvvisamente i miei cari che abitano fuori regione?”: una ridda di pensieri affolla d’un tratto la mia mente. Se avessi due gambe, sarei considerata una persona normale, andrei in stazione centrale, farei il biglietto e salirei su un treno senza problemi. Se non ho due gambe ma quattro ruote, allora divento improvvisamente un disabile e mi trasformo inevitabilmente in un problema da risolvere. Mi fanno sentire proprio così, in biglietteria: “lei deve chiamare questa società”, mi istruisce l’operatore, “e spiegare che deve raggiungere Teramo. Loro le metteranno a disposizione il personale che l’aiuterà a scendere e salire”. Ma Teramo, così come il 90 % delle stazioni ferroviarie abruzzesi non è attrezzata per i disabili. Solo il 10% circa delle stazioni abruzzesi dispone del servizio e questo significa che bisogna fare affidamento a società private per ottenere un aiuto. Mi intigno, come faccio sempre quando mi rendo conto che le cose non vanno come dovrebbero andare: “devo partire al massimo tra un’ora”, dico all’operatore. Lui aggrotta la fronte e poi si arrende: la resa ha il sapore amaro della sconfitta, della frase che non vorresti sentirti dire, del fallimento di una società che non ti pensa, che si è dimenticata che esisti.
“Mi dispiace”, dice sollevando la testa.
A me, dispiace molto di più.
Persone disabili o disabili: quando le parole hanno un peso specifico
Dietro al concetto astratto di legge e di diritti si nasconde la persona, fatta di carne e spirito. “Ubi societas, ibi Ius (dove si trova la società, lì si trova la legge)”, dicevano i latini ed ancora una volta, avevano ragione. Se vengono meno la società e la sensibilità sociale ha ancora senso parlare di legge? Persona, e non disabilità o handicap. Persona e non diversità. Persona, persona, persona. Tutti siamo persone prima di diventare il signor Rossi, il dottor Bianchi, l’ingegner Rocci, il disabile.
Chiedimi, ora, se sono felice
Claudio mi aspetta. Sa che oggi gli riporterò la carrozzina. Claudio aspetta me. Aspetta di scorgere sul mio viso i segni di questa esperienza. Ed io aspetto di leggere sul suo volto una smorfia di gioia. Gli racconto tutto. Mi ascolta interrompendomi di tanto in tanto con qualche domanda. I nostri occhi si incontrano e si fondono nell’emozione del momento. Lui mi corregge; lui mi insegna; lui mi racconta; lui mi aiuta a capire. Ha forza e carattere da vendere, Claudio. Ha la forza di chi combatte per difendere le leggi-umane. Ha la forza di chi sfila per le strade di Pescara ed espone, orgoglioso, il vessillo della disabilità, appellandosi alla sensibilità dei politici.
“Sei felice?”, mi chiede inaspettatamente alla fine del nostro confronto.
“Che significa essere felici?”, gli domando.
“E’ felice CHI SA di avere”, mi risponde, “è felice chi sa di avere una casa, di avere una famiglia, di avere due gambe. Felicità=consapevolezza. Allora, sei felice?”
Ora sì.
Marirosa Barbieri