“Sono stato chiamato a pagare 50mila euro per aver fatto semplicemente il mio dovere”
Inizia così lo sfogo di Domenico Pettinari, consigliere regionale abruzzese del Movimento 5 stelle dopo la condanna inflittagli dal giudice del tribunale civile di Pescara per il processo contro il senatore ed ex presidente della Regione Abruzzo Luciano D’Alfonso.
Pettinari dovrà pagare 50mila euro più le spese legali per la vicenda riferita alla richiesta di risarcimento da 200mila euro, presentata dallo stesso D’Alfonso, che si è ritenuto diffamato da alcune dichiarazioni rilasciate alla stampa dal consigliere.
“Oggi è un giorno triste per me” aggiunge Pettinari. “Mi è arrivata una notizia inaspettata. Il mio avvocato mi ha comunicato che per aver fatto il mio dovere, per aver messo in luce uno spreco di denaro pubblico milionario da parte della Asl di Pescara e per aver chiesto conto di questo sperpero pubblicamente, sarò costretto a risarcire l’Ex Presidente di Regione Abruzzo, Luciano D’Alfonso, oggi Senatore PD”.
Pettinari non ci sta perché “nella mia veste di Consigliere Regionale” spiega di aver chiesto semplicemente “lumi su un incauto acquisto da parte della Sanità Abruzzese, di cui al tempo era anche era commissario ad acta”. Sul proprio profilo Facebook Pettinari aggiunge:“vi ricordate la storia dell’acquisto della palazzina da parte della Asl di Pescara? Un edificio acquistato qualche anno fa da un privato per una somma pari a 900 mila euro e poi rivenduto, dopo pochi anni, alla Asl di Pescara per 2 milioni e 800mila euro. Una enorme plusvalenza. Ho reso pubblico questo. Io non ho leso l’immagine di nessuno. Io ho difeso i cittadini abruzzesi dall’ennesimo spreco Asl che si traduce nella diminuzione di risorse per le cure e per la tutela della salute dei pazienti. Dovevo tacere? Non dovevo dirlo? La mia denuncia ha fatto partire un’inchiesta. Non ho inventato niente. Eppure oggi qualcuno ha deciso che chi denuncia deve pagare. Ma io non mi fermerò di certo! Non saranno atti come questo ad impedirmi di svolgere il mio dovere nella nostra battaglia di giustizia. Denuncio illeciti e mi occupo di ingiustizie sociali da oltre 20 anni. Sono stato minacciato da delinquenti con le pistole, da spacciatori e da criminali di ogni genere. Io vado avanti fin quando voi ci sarete. Fin quando saprò dal vostro affetto che la strada che stiamo percorrendo insieme è quella giusta.”
Secondo la difesa di D’Alfonso Pettinari avrebbe all’epoca rilasciato dichiarazioni diffamatorie alla stampa a margine della seduta del Consiglio regionale.
“Le affermazioni di Pettinari, alla luce dei principi giurisprudenziali, non appaiono pertinenti”, si legge nella sentenza del giudice Marco Bortone, e non sono improntate “a serena obiettività almeno nel senso di escludere il preconcetto intento denigratorio” e a “leale chiarezza”. Sempre secondo il giudice, “gli argomenti usati non possono essere considerati mera critica della condotta politica dell’avversario politico, apparendo invece essere stati mirati soltanto a evocare l’indegnità della sua persona e delle modalità di esercizio delle sue funzioni pubbliche; nella sostanza dunque risolvendosi le dichiarazioni riportate nei due articoli di stampa in contestazione in un attacco puramente offensivo di D’Alfonso”.
Tra i testimoni chiamati da D’Alfonso anche l’ex sindaco di Chieti Francesco Ricci che, nella fase introduttiva del processo, si è soffermato sulla reputazione dell’ex governatore abruzzese. In particolare sono intervenuti anche Paolo Costanzi e Walter Garani rispettivamente dirigente amministrativo del Consiglio regionale e dirigente della segreteria della Giunta, che hanno confermato il rilascio di due certificazioni che evidenziavano che nel 2007 D’Alfonso non era né consigliere regionale né assessore regionale.
“Ricorreremo fino in Cassazione per vedere riconosciuta la possibilità da parte dei rappresentanti democraticamente scelti dal popolo di poter denunciare gli sperperi di denaro pubblico” ha detto appena dopo la sentenza Pettinari. “Abbiamo fiducia nella giustizia e siamo certi che questa prima sentenza non rappresenti una volontà della magistratura di mettere un bavaglio alle opposizioni e al lavoro di sindacato ispettivo di tutti i consiglieri regionali. Sarebbe un precedente troppo pericoloso che non può lasciare indifferenti organi ed esponenti politici di ogni schieramento”.