Oggi si commemora, da giovedì si giudica. Il diciassettesimo processo. E un diciottesimo, parallelo e con la stessa accusa di strage, inizierà il 18 giugno.
Piazza della Loggia: memoria e giustizia, iniziano i nuovi processi per la strage. Tra i paradossi legali nella ricerca della verità sulla carneficina di Piazza della Loggia, le udienze che vedranno Marco Toffaloni — ora noto come Franco Maria Müller con passaporto svizzero — davanti al giudice Federico Allegri del Tribunale dei Minori, e Roberto Zorzi davanti all’assise presieduta da Roberto Spanò, non faranno eccezione.
Entrambi sono accusati di aver posizionato la bomba nel cestino dei rifiuti. E che esplose nel cuore di Brescia cinquant’anni fa, uccidendo otto persone e ferendone un centinaio. “Tomaten” Toffaloni, soprannominato così per le sue guance facilmente arrossate, stava per compiere 17 anni all’epoca: il suo viso compare accanto ai corpi delle vittime, immortalato dal fotografo Silvano Cinelli e fissato da un incidente probatorio. Zorzi, invece, aveva 20 anni e avrebbe coordinato la pianificazione della strage e dell’omicidio di Silvio Ferrari, giovane militante bresciano morto la notte del 19 maggio 1974 con una bomba sulla sua Vespa.
Le nuove indagini
Queste nuove indagini sono l’ultimo ramo della maxi-inchiesta condotta dai pm Roberto Di Martino e Francesco Piantoni. E iniziata mentre era ancora in corso il processo precedente, l’unico che abbia portato a due ergastoli per Carlo Maria Maggi e Maurizio Tramonte. Le accuse, sostenute dal pm Caty Bressanelli e dall’aggiunto Silvio Bonfigli, difficilmente troveranno risposta dai due imputati. Toffaloni-Müller, difeso dall’avvocato Marco Gallina, non ha mai risposto a un interrogatorio e vive in solitudine nei pressi di Landquart, in Svizzera. Zorzi si è trasferito negli anni ’80 vicino a Seattle, dove alleva dobermann. Sarà rappresentato dai legali Stefano Casali ed Edoardo Lana, che cercheranno di confutare le accuse mosse dai testimoni come Stefano Romanelli, Umberto Zamboni e Ferdinando Trappa.
Le testimonianze
Le accuse a Zorzi e Toffaloni sono supportate soprattutto dalle testimonianze di Ombretta Giacomazzi, all’epoca 17enne figlia dei proprietari della pizzeria Ariston, luogo centrale nella trama nera bresciana. Giacomazzi è stata sia accusatrice del gruppo Buzzi e del capitano dei carabinieri Francesco Delfino — poi assolto — sia imputata di falsa testimonianza e calunnia. Le sue parole sono state raccolte e verificate dal colonnello del Ros dei carabinieri Massimo Giraudo. Il colonnello è coinvolto in uno scandalo a sfondo sessuale denunciato dalla testimone Donatella Di Rosa.
Il vero punto chiave dei processi risiede nelle dichiarazioni di Giacomazzi e nelle informative di Giraudo, che delineano una cornice teorica della strage. Secondo questa ipotesi, la strage sarebbe stata ispirata e organizzata da uomini dello Stato e della NATO, in una trama che includerebbe Delfino, il capitano del SID Mario Mori, graduati dei carabinieri e vertici del comando Ftase di Verona, la principale base NATO in Italia nel 1974. La credibilità di testimone e inquisitore sarà cruciale per questi processi, rischiando di compromettere anche le solide prove raccolte contro Zorzi e Toffaloni. Il cammino verso la verità rimane stretto e tortuoso, come è stato per cinquant’anni.