La III sezione quater del Tar del Lazio oggi si riunisce per discutere il ricorso in cui si chiede al governo di fornire il “piano segreto” contro la prima ondata del coronavirus.
A farne richiesta presentato Galeazzo Bignami e Marcello Gemmato.
La vicenda sul piano segreto è nota. Tutto ruota attorno al documento dal titolo “Piano operativo di preparazione e risposta a diversi scenari di possibile sviluppo di un’epidemia da 2019-nCov”. L’atto è più volte citato nei verbali del Cts, venne realizzato da un gruppo di lavoro e presentato a Speranza il 20 febbraio (prima dunque del primo caso di Codogno) ed era – come rivelato dal Giornale.it – una preparedeness in previsione dell’arrivo della pandemia. Normale amministrazione, in teoria. Il fatto è che il Cts sin da febbraio ne ha predisposto la riservatezza, firmata da tutti gli autori del testo. Come mai?
Secondo i verbali l’obiettivo era quello di evitare che “i numeri arrivassero alla stampa”.
Gli scenari prevedevano migliaia di casi di infezione in Italia, il tutto mentre nel Paese regnava una certa tranquillità. Così alla fine nessuno ne ha saputo nulla. Andrea Urbani, direttore generale al ministero e membro del Cts, aprò lo squarcio di silenzio quando rivelò che in realtà sin dall’inizio “avevamo un piano secretato e quel piano abbiamo seguito”. Di che documento parlava?
Il documento il ministero si ostina a derubricarlo a “studio” e più di una volta ha finito col confonderlo con un’analisi matematica realizzata da Stefano Merler. Lo ha fatto anche nelle memorie difensive presentate dall’avvocatura generale dello Stato al Tar del Lazio. L’ultima mossa risale a giovedì. Per “confutare” la contromemoria depositata dai parlamentari Fdi, il ministero della Salute torna a sostenere la tesi “dell’infondatezza del ricorso” al Tar e del “difetto” dell’istanza di accesso agli atti con cui i deputati avevano chiesto copia del “piano segreto” citato da Urbani. Per l’avvocatura la richiesta era troppo “generica” e non riferibile “ad un atto specificamente individuato”. E siccome l’Amministrazione non può essere costretta a ricerche infinite, il “silenzio” ministeriale era giustificato. Dunque: niente “piano”.
Il ministero nei giorni scorsi ha depositato una copia dello studio di Merler per tentare di chiudere la questione. Lo stesso ministero ha sostenuto fosse quello l’atto che “sembrava essere stato richiesto”. Era andato addirittura a recuperarlo al Cts. E “a titolo di cortesia istituzionale” allega i due documenti di preparazione predisposti in vista dell’autunno-inverno. Che c’entrano? Nulla.
Il passaggio della memoria che però desta una certa curiosità.
Ed è l’ultimo paragrafo. L’avvocatura scrive infatti che “gli atti depositati” sono stati predisposti “sulla base degli elementi di studio e degli approfondimenti contenuti in un documento istruttorio (così detto “Piano di emergenza”)”. Un “documento istruttorio”, quindi. Cos’è? Cioè che assicura l’avvocatura è che tale atto
“non è mai stato formalizzato dal Ministero della salute, né dal Dipartimento di Protezione civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri, che lo ha formato e lo detiene, essendo esso acquisito agli atti del Comitato tecnico scientifico, dal quale, come risulta dai verbali del medesimo Comitato, che vengono resi pubblici, viene utilizzato come riferimento per le raccomandazioni circa il contenimento e gestione dell’emergenza nelle aree interessate disposte nei Decreti e nelle Ordinanze via via emanati”.
Quindi è stato usato per varare i dpcm, è stato realizzato dal Cts e acquisito agli atti, ma non è un atto formale di nessuno. Possibile?