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Peste suina: la diffusione al Nord e il crollo dell’export

Peste suina: la diffusione al Nord e il crollo dell'export

Ore drammatiche per il settore. Le restrizioni dovute al diffondersi della peste suina mette in ginocchio l'economia

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La peste suina africana è stata individuata in sette differenti carcasse di cinghiali rinvenute tra Piemonte e Liguria. E inizia a far paura. Scatta, infatti, la sospensione delle importazioni di salumi italiani da parte di Cina, Giappone, Taiwan e Kuwait.

Il primo allarme è arrivato da Ovada (Alessandria) e, dopo poche ore, altre due segnalazioni sono pervenute da Franconalto (Alessandria) e da Isola del Cantone (Genova). In pochi giorni la zona circoscritta dal ministero della Salute si è ampliata fino a comprendere 114 comuni, tra questi 78 in Piemonte e 36 in Liguria. Questa situazione, che ha portato anche la Svizzera ad attuare delle restrizioni, preoccupa Confagricoltura. “Ora è necessario agire con la massima tempestività ed efficacia nel campo della sorveglianza e delle misure di biosicurezza per la protezione degli allevamenti”, spiega il presidente Massimiliano Giansanti. Il timore del blocco delle esportazioni si lega al rischio di chiusura per numerosi allevamenti. L’Autorità Europea per la sicurezza alimentare ha finora escluso l’Italia dalle “zone di preoccupazione”, per il fatto che al momento non risultano casi di peste suina in maiali, ma il livello di allerta è elevato.

Il danno all’economia

Un blocco dell’export causerebbe perdite per 20 milioni di euro al mese, secondo l’Associazione industriali delle carni e dei salumi (Assica). Un settore tradizionalmente forte del mercato italiano che, solo nel 2021, ha esportato insaccati per un valore complessivo di 1,7 miliardi di euro (+ 12,2% rispetto al 2020). “Se perdiamo il 15-18% dell’export sarà a in pericolo la sopravvivenza degli stessi allevamenti suini italiani”, precisa il direttore dell’Associazione nazionale allevatori suini Maurizio Gallo. A preoccupare sono anche le possibili speculazioni di mercato, altro elemento da tenere sotto controllo per tutelare gli interessi degli allevatori e di tutto il sistema economico e occupazionale che gravita attorno ad essi.

Pur non risultando nociva per l’uomo, la peste suina africana impone l’abbattimento dei capi, dal momento che non esiste alcun vaccino in grado di prevenire il contagio. Le zone rientranti nell’area circoscritta dal ministero della Salute sono quindi fortemente a rischio. “Le misure di bio-sicurezza degli allevamenti italiani hanno standard molto elevati, che verranno ulteriormente rafforzate nelle prossime settimane per tutelare le aziende zootecniche, a rischio di tracollo nella malaugurata ipotesi di focolai”, assicurano da Cia. Tuttavia, “malgrado non ci sia alcun caso di contaminazione della popolazione suina, le istituzioni devono mantenere alto il livello di allerta”.

La situazione

Le autorità sanitarie hanno individuato una vasta area a rischio, compresa tra i territori di Genova, Ronco Scrivia, Novi Ligure, Acqui Terme, Spigno Monferrato e Albissola Marina. Il Piemonte ha deciso di bloccare ogni attività venatoria nella provincia di Alessandria. Stessa scelta operata dalla regione Liguria per quanto concerne i territori a rischio, nei quali è inoltre stata proibita la raccolta di funghi ed ogni genere di attività effettuata in zone boschive. Sospesa a tempo indeterminato anche la movimentazione di animali zootecnici in entrata e in uscita da suddetti territori, così come la certificazione veterinaria riguardante l’esportazione di carni suine.

“Siamo davanti a una duplice emergenza: la minaccia della diffusione della peste suina africana e una presenza fuori controllo di fauna selvatica sul territorio nazionale”, dichiara il sottosegretario alle Politiche Agricole Gian Marco Centinaio. “Tutti i ministeri che hanno competenza sulla questione agiscano in modo coeso e sinergico per evitare che la Psa colpisca i nostri allevamenti e causi pesantissimi danni economici a un intero settore”, conclude.

Unità di crisi in Lombardia

Per ColdirettiLombardia per via della moltiplicazione ormai fuori controllo dei cinghiali, la prevenzione è fondamentale per evitare gravi emergenze sanitarie. Intanto, l’assessore regionale Fabio Rolfi ha istituito un’unità di crisi promossa da Regione Lombardia. A coordinarla la U.O. Veterinaria (DG Welfare) composta da rappresentanti della DG Agricoltura, della DG Protezione civile, dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia-Romagna, dei Dipartimenti Veterinari delle Ats, della Polizia provinciale e dei Carabinieri forestali. 

“L’ideologia pseudo animalista ha fatto solo danni”

L’assessore regionale Fabio Rolfi non usa mezzi termini per descrivere la situazione: “È la conseguenza inevitabile dell’inerzia dello Stato che sino a oggi ha fatto poco o nulla per favorire il contenimento del cinghiale, uno dei principali veicoli della Peste suina agricola (Psa), a differenza di quello che stanno facendo altri Paesi coinvolti dal problema, nel nord e nell’est Europa dove addirittura si costruiscono recinzioni nei boschi e si usa l’esercito”. Poi aggiunge: “Tutta l’attività di contenimento è di fatto a carico delle regioni. Roma ha soltanto messo ostacoli, burocrazia e divieti influenzata com’è da qualche anno a questa parte dall’ideologia pseudo animalista grillina, principale alleata di fatto della diffusione della Psa in Italia”.

“Chiediamo venga avviata una rapida iniziativa – ha sottolineato Fabio Rolfi – finalizzata a incrementare l’attività di contrasto al cinghiale, estendendo il periodo di caccia, mettendo in campo attività di controllo maggiore anche attraverso l’ausilio dei carabinieri forestali, togliendo di mezzo la burocrazia inutile che imbriglia chi sul territorio vuole agire per difendere l’agricoltura e la sicurezza dei territori rurali.” “Il rischio conseguente – avverte l’assessore lombardo – è una forte limitazione dell’attività commerciale dei prodotti di derivazione suinicola, in un momento di forte richiesta del Made in Italy. Purtroppo, questo rischia di essere un grandissimo assist verso i nostri competitor e a favore dell”italian sounding’”. 

Il rischio evidenziato da Coldiretti Lombardia

“Abbiamo più volte evidenziato a livello nazionale e territoriale il rischio della diffusione della Peste Suina Africana (Psa) attraverso i cinghiali – continua la Coldiretti Lombardia  – e la necessità della loro riduzione sia numerica che spaziale attraverso le attività venatorie, le azioni di controllo della legge 157/92 articolo 19 e le azioni programmabili nella rete delle aree protette. La Peste Suina Africana che – precisa la Coldiretti  – può colpire cinghiali e maiali ed è altamente contagiosa e spesso letale per questi animali, non è invece trasmissibile agli esseri umani. Un possibile veicolo di contagio possono essere proprio i cinghiali, il cui numero negli ultimi anni si è moltiplicato in tutta Italia fino a superare i due milioni di esemplari secondo le ultime stime”.

I danni

“Questi ungulati provocano danni ingenti agli agricoltori e costituiscono un grave rischio per la sicurezza dei cittadini: secondo le stime di Coldiretti Lombardia, sulla base dei dati regionali, sono almeno novemila in dieci anni gli assalti dei cinghiali sul territorio tra campagne e incidenti stradali. La nostra regione – continua la Coldiretti Lombardia – è la prima per numero di maiali allevati: sono infatti quasi 4 milioni e mezzo i capi presenti nelle aziende lombarde, pari al 53% del totale nazionale. Adesso – afferma la Coldiretti Lombardia – serve subito un’azione sinergica su più fronti per tutelare e difendere gli allevamenti dalla grave minaccia della peste suina africana che rischia di causare un gravissimo danno economico alle imprese.

Servono interventi immediati per fermare il proliferare dei cinghiali e garantire la sicurezza degli allevamenti ma occorre anche monitorare attentamente la situazione per evitare strumentalizzazioni e speculazioni a danno del settore.  Si ravvisa infine la necessità di avviare iniziative comuni anche a livello europeo perché – conclude la Coldiretti – è dalla fragilità dei confini naturali del Paese che dipende l’elevato rischio di un afflusso non controllato di esemplare portatori di peste”.

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