Pena di morte: il 2024 è l’anno in cui gli Stati hanno rialzato il cappio
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Nel mondo, la pena di morte rialza la testa. Il 2024 si è chiuso con un dato allarmante: oltre 1.500 persone giustiziate in 15 Paesi, un numero che non si registrava dal 2015.

Pena di morte, il 2024 è l’anno del boia: torna a crescere la sete di morte degli Stati. A lanciare l’allarme è Amnesty International, che nel suo ultimo rapporto fotografa un sistema che, lontano dal tramontare, continua a mietere vittime in nome della legge.

Più condanne, meno Stati: il paradosso della forca

Mentre si rafforza la tendenza globale verso l’abolizione della pena capitale – 113 Stati l’hanno cancellata del tutto, 145 l’hanno eliminata dalla prassi – alcuni Paesi sembrano voler riportare indietro le lancette della civiltà. Paradossalmente, le esecuzioni aumentano, anche se i boia ufficiali diminuiscono: solo 15 Stati hanno fatto uso della pena di morte nel 2024, il numero più basso di sempre per il secondo anno di fila. Ma il dato non deve illudere.

Dietro questo apparente passo avanti si nasconde un ritorno feroce alla violenza di Stato, concentrato soprattutto in Medio Oriente e in Asia.

Cina, Iran e Arabia Saudita: la triade del terrore

Nel club degli Stati che si affidano ancora alla forca, al plotone o alla decapitazione troviamo Cina, Iran, Arabia Saudita, Iraq e Yemen. La parte più pesante del bilancio di sangue si registra in Iran, Iraq e Arabia Saudita, che insieme sono responsabili di oltre il 91% delle esecuzioni documentate.

  • L’Iran ha giustiziato almeno 972 persone, 119 in più rispetto al 2023.
  • L’Arabia Saudita ha raddoppiato le esecuzioni passando da 172 a 345.
  • L’Iraq ha quasi quadruplicato i numeri, da 16 a 63.

E poi c’è la Cina, che come sempre resta in cima alla classifica ma sotto silenzio: il numero effettivo di esecuzioni è tenuto segreto, ma si parla di migliaia di casi. Stesso discorso per la Corea del Nord e il Vietnam. Amnesty non è riuscita a verificare i dati in Siria e Palestina, a causa delle crisi in corso.

Nel 2024 boom di esecuzioni: oltre 1.500 persone uccise in 15 Paesi. Il boia torna protagonista nel silenzio globale.

Pena di morte come strumento politico

Dalle parole ai fatti, e dai fatti alla propaganda. Amnesty denuncia un uso strumentale della pena capitale, spacciata per “risposta alla criminalità” ma impiegata in realtà per soffocare dissenso, reprimere minoranze, e seminare terrore. In Iran e Arabia Saudita, la ghigliottina moderna viene rispolverata contro attivisti, oppositori politici, manifestanti e difensori dei diritti umani.

Non va meglio negli Stati Uniti, dove le esecuzioni sono tornate a salire: 25 nel 2024, contro le 24 dell’anno precedente. Donald Trump ha cavalcato la retorica del boia per fini elettorali, evocando la pena di morte per stupratori, assassini e “mostri”. Una narrazione tossica che alimenta paura, disumanizzazione e bugie, tra cui quella più pericolosa: che la pena di morte abbia un effetto deterrente.

Quando il boia punisce la povertà

Secondo Amnestyoltre il 40% delle esecuzioni nel 2024 ha riguardato reati legati alla droga. In violazione del diritto internazionale, che limita la pena capitale ai “reati più gravi”, molti Stati – tra cui Cina, Iran, Arabia Saudita e Singapore – continuano a mandare al patibolo persone spesso fragili, indigenti, e senza reali tutele processuali. In Vietnam si sospetta che la pratica sia ancora diffusa, ma non è possibile ottenere conferme.

E ora anche Maldive, Nigeria e Tonga valutano di introdurre la pena di morte per reati di droga. Una follia.

Si può ancora cambiare rotta

Ma il 2024 ha anche mostrato che la lotta paga. In Giappone, dopo quasi 50 anni nel braccio della morte, Hakamada Iwao è stato assolto. Negli Stati UnitiRocky Myers, condannato a morte nonostante le gravi irregolarità nel processo, ha visto commutata la sua condanna in ergastolo grazie alla mobilitazione della sua famiglia, di attivisti, di un ex giurato e di milioni di cittadini indignati.

Il ritorno dei boia in Africa

La Repubblica Democratica del Congo ha annunciato la ripresa delle esecuzioni. Il Burkina Faso vuole reintrodurre la pena di morte per i reati comuni. Un segnale inquietante da un continente dove, spesso, le leggi penali sono il volto repressivo del potere.



Nel mondo c’è chi abolisce e chi raddoppia. Chi costruisce pace e chi stringe il cappio. La pena di morte non è giustizia: è un’aberrazione, un abuso di potere, un’arma politica. E nonostante i progressi, finché anche un solo Stato continuerà a uccidere in nome della legge, la battaglia per la vita – e per la verità – non potrà mai dirsi finita.

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