Il Pci e il Pds esattamente tre giorni dopo il crollo del Muro dei Berlino, Achille Occhetto si presentò a Bologna per partecipare alle celebrazioni dei 45 anni dalla battaglia della Bolognina, nel quartiere Navile. Era il 12 novembre del 1989.
L’allora segretario annunciò al pubblico che era necessario “andare avanti con lo stesso coraggio che fu dimostrato durante la Resistenza. Gorbaciov prima di dare il via ai cambiamenti in URSS incontrò i veterani e gli disse: voi avete vinto la seconda guerra mondiale, ora se non volete che venga persa non bisogna conservare ma impegnarsi in grandi trasformazioni”. Dunque, era il tempo di “non continuare su vecchie strade, ma inventarne di nuove per unificare le forze di progresso”. E, per questo, la svolta della Bolognina si consumò nella sala comunale di via Pellegrino Tibaldi 17 che, in quattordici mesi, portò allo scioglimento del Pci per confluire il 14 febbraio 1991 nel Partito democratico della Sinistra (Pds).
Lui, il segretario della svolta, il 9 novembre si trovava a Bruxelles per incontrare il leader laburista, Neil Kinnock.
Nel vedere le immagini provenienti da Berlino rimasero ipnotizzati dalle picconate al Muro. Ed è lì che venne fuori l’idea di cambiare il nome del partito, questione non facile, come poi si è visto, per un partito con il 28% dei voti.
Il cambio del nome
Ci fu un ampio dibattito e, alla fine, al voto parteciparono 326 dei 374 membri del Comitato centrale. I sì furono 219 sì, i no 73 e 34 gli astenuti. Passò così l’ordine del giorno con cui “il Comitato centrale del Pci assume la proposta del segretario di dar vita ad una fase costituente di una nuova formazione politica”. Da lì partì anche un congresso straordinario per decidere se dar vita a un nuovo partito. Di congressi, in realtà, ne servirono due per arrivare al Partito democratico della sinistra: uno a Bologna nel marzo 1990 e l’ultimo a Rimini, quando il Pci confluì nel Pds.