È apparso tranquillo, sereno, senza un’ombra di preoccupazione sul viso. Mai uno sguardo rivolto al conduttore. Occhi puntati verso il fondo dello studio e a tratti persi nel vuoto. L’ex uomo potente della magistratura (forse non tanto ex), Luca Palamara, sembra aver fatto un mezzo passo indietro dopo la guerra sferratagli da alcuni suoi colleghi.
Di certo, però, le 60mila pagine di intercettazioni con al centro le guerre tra bande per spartirsi poltrone e incarichi pubblici, hanno dato a Palamara uno schiaffo che lo ha stordito appena un po’. È evidente che un agnello andava sacrificato all’interno della potente, potentissima macchina giudiziaria (e spesso giustizialista) italiana. E quell’uomo era lui, Luca Palamara.
“In magistratura ci sono tanti Luca Palamara” dice. Gli osservatori più attenti se n’erano accorti. E ci mancherebbe. Un trojan inserito solo nel telefono di Palamara. Perché? La risposta dovrebbe arrivare da Perugia ma non arriva. E forse non arriverà mai. Per un semplice fatto: perché in quelle intercettazioni ci sono finiti tutti: politici, magistrati, faccendieri, attori e ballerine. E c’è finita anche quell’avvocato di nome G. di cui parla la compagna del pm romano, Adele Attisani, in una intercettazione. Una che “organizza marchette per farvi accoppiare”. Uno scenario che a confronto le “cene eleganti” di Arcore sembrano incontri culturali.
“Non ho inventato io le correnti“ dice il pm romano a Non è L’Arena. “Essere identificato come male assoluto può fare comodo a qualcuno” aggiunge il Palamara. “Io mediavo tra le singole correnti dell’Anm. Non esisteva solo un unico Palamara, esistevano tanti mediatori. Mi chiamavano tantissime persone, avevo una funzione di rappresentanza, ero diventato una figura di riferimento per molti colleghi, ma non per fare cose illecite. E questo ha partorito nomine di magistrati di assoluto livello. Tutti erano frutto di un accordo”.
C’è, evidentemente, un sottobosco di cui ancora non si parla. Trame segrete che, al momento, non ancora vengono a galla. E proprio le parole dell’indagato numero uno lo confermano: “i posti di procuratore della Repubblica sono molti ambiti, sono posti di potere. È vero che il sistema delle correnti penalizza chi non vi appartiene. Negare che le correnti siano una scorciatoia è una bugia. Le correnti della magistratura nel Csm hanno un peso preponderante. Il politico dall’esterno non può incidere sui magistrati, ma questo sistema favorisce una commistione”.
A decidere, dunque, sono persone importanti che ricoprono “posti più importanti. Molti magistrati che sono fuori dai contatti (dalle correnti) viene penalizzato. È il carrierismo sfrenato che ha portato a questo”.
Logica vorrebbe, seguendo il discorso di Palamara, che a decidere di attaccarlo è stato qualcuno di molto potente all’interno dei palazzi di giustizia. Aveva nemici il pm che gli hanno sferrato l’attacco finale? Sicuramente sì. Nemici che sono anche a Perugia? Chissà.
Certo è che la magistratura è molto sensibile alla politica, soprattutto in tema d’immigrazione. Però il pm romano assicura: su Salvini la mia “è stata un’espressione frettolosa”. Motivo? “C’era un dibattito interno alla magistratura molto forte. Ho detto quella frase perché volevo difendere i magistrati. Facevamo quadrato contro la politica. Quello dell’immigrazione è un tema particolarmente sensibile nella magistratura ed è vero che sul tema ci fosse un particolare dibattito politico all’interno. I magistrati andavano tutelati”, continua. “La politica delega molto alla magistratura – osserva Palamara – ma così i problemi non si risolvono”.
Sul caso Basentini al Dap rivela che l’uomo “è stato sempre vicino alla mia corrente”. Ma come ha fatto a dirigere il Dap? “Non posso dirlo”.
Palamara, comunque, è netto: “Mi sento un uomo delle istituzioni, un magistrato prima di tutto”.
di Antonio Del Furbo
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