Nel libro inchiesta di Luca Palamara – Il Sistema – viene offerto uno spaccato di ciò che è accaduto all’interno della magistratura italiana in questi anni.
E Palamara ne ha per tutti. Anche per gli insospettabili.
Il dato interessante è che – al momento – nessuno ha smentito le forti rivelazioni che Palamara ha fatto. Tanto che in un documento sottoscritto da 27 magistrati, tra i quali l’ex gip di Milano Clementina Forleo e Andrea Reale dei “Centouno” – il gruppo nato in opposizione alle correnti della magistratura – si chiede di smentire al procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi e al consigliere del Csm Giuseppe Cascini, dopo le “gravi accuse” mosse loro dall’ex presidente dell’Anm.
“Secondo quanto riportato nel libro ‘Il Sistema‘ l’attuale procuratore generale della Cassazione, Giovanni Salvi, in almeno due occasioni avrebbe incontrato in privato e su sua richiesta Luca Palamara, all’epoca componente del Csm, per caldeggiare la propria nomina a importantissimo incarico pubblico”, scrivono. “Ove veri” quei fatti “gettano un’ombra inquietante sia sui loro asseriti protagonisti che sulla sorprendente circolare dello stesso Procuratore Generale che ‘assolve’ per principio chi raccomanda se stesso per incarichi pubblici e chi quella raccomandazione accetta”. “Nello stesso libro – rilevano ancora i 27 magistrati – si attribuisce all’attuale componente del Csm, Giuseppe Cascini, una indebita e pesante interferenza in un procedimento disciplinare a carico di un collega (il riferimento è per Henry John Woodcock), compiuta quando il primo svolgeva le funzioni di sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma”.
Fatti e persone
Insomma, appare chiaro quel che accade. Palamara ha messo nero su bianco quel che sa citando date, fatti, nomi e cognomi. Descrive gran parte del marcio che si annida in settori della Magistratura. Un mondo che tramerebbe contro la Repubblica, contro la Costituzione, contro la giustizia e contro il Parlamento.
Dentro quel sistema c’è anche una storia che – ancora oggi – non è ancora risolta: la vicenda di Ottaviano Del Turco. E c’è un nome – pesante – della magistratura abruzzese: quella di Giampiero Di Florio. Il giudice, insieme al collega Giuseppe Bellelli e all’allora capo della procura di Pescara Nicola Trifuoggi, fece arrestare l’ex presidente della regione Abruzzo, Del Turco. Un processo che ancora oggi non conosce fine e che è tornato alla ribalta della cronaca dopo che si è scoperto che l’ex sindacalista è gravemente malato.
Del Turco senza vitalizio. L’ultimo attacco infame a un uomo malato
Processo che azzerò la, il 14 luglio del 2008, l’intera giunta regionale d’Abruzzo. Del Turco venne arrestato dalla Guardia di Finanza a seguito di un’inchiesta della Procura della Repubblica di Pescara. Con lui finirono in manette una decina tra assessori, ex-assessori, consiglieri ed alti funzionari con l’accusa di associazione per delinquere, truffa, corruzione e concussione. Di Florio e Bellelli contestarono movimenti di denaro per circa 14 milioni di euro, di cui 12,8 consegnati. Ci fu una prima condanna a 9 anni e 6 mesi per poi arrivare, nel 2018, a una condanna di 3 anni e 11 mesi. Crollarono i pilastri dell’inchiesta e la difesa ha chiesto un nuovo processo.
Bellelli e Di Florio a settembre del 2015 – intanto – diventano rispettivamente Procuratori della Repubblica di Sulmona e Vasto. Trifuoggi, invece, sceglie la via della politica divenendo vice sindaco dell’Aquila nella giunta di centrosinistra a guida Massimo Cialente.
Bellelli e Di Florio “sfiorarono” invece la politica.
Come riportammo in un articolo del 2013 (Papa Luciano accoglie tutti nella sua corte. Procuratori compresi) i due giudici parteciparono a un evento tenutosi al Circus di Pescara con Luciano D’Alfonso – attuale senatore Pd ed ex sindaco di Pescara – e Flavio Tosi. In quell’occasione doveva esserci anche Giovanni Legnini, allora sottosegretario alla presidenza del consiglio dei ministri con delega all’Editoria che però era impegnato a Roma per “l’esame alla Camera degli emendamenti alla Legge di Stabilità che sto seguendo per conto della Presidenza del Consiglio dei Ministri, con conseguente obbligo della mia presenza in commissione.” Nella platea c’era anche Nicola Trifuoggi che di lì a poco si buttò in politica.
Il trojan, la procura di Perugia, Di Florio e Del Turco…
A quei giorni ci torna Luca Palamara che racconta:
“La mattina del 3 maggio 2019, alle 10:20 casco nella trappola. Sul mio telefonino ricevo il seguente messaggio da Vodafone, la compagnia che gestisce la mia scheda: ‘Gentile cliente, stiamo riscontrando problemi di linea che potrebbero impedire il corretto funzionamento del tuo dispositivo. Esegui subito l’aggiornamento su questo link, a breve ti contatterà il nostro servizio tecnico per configu- rare il tuo dispositivo’. Mi fido, clicco sul link ed è la mia fine. Dentro quel messaggio la procura di Perugia, in accordo con la compagnia telefonica, ha incorporato il virus trojan che da quel momento, le 10:24 del 3 maggio, alle 11:10 del 31 maggio – mentre ero impegnato nelle trattati- ve per scegliere il nuovo procuratore di Roma che dovrà sostituire l’uscente Giuseppe Pignatone – spierà la mia vita giorno e notte.“
Dunque, spiega Palamara:
“Il contenuto di quelle trascrizioni, come pure le chat e i messaggi estratti dal cellulare, è ormai noto, i giornali ne hanno pubblicati centinaia. C’è di tutto, ma non c’è tutto. Penso, e sono solo degli esempi, alla nomina del procuratore di Reggio Emilia Marco Mescolini, fortemente sostenuto dal Pd locale, e a quella di Giampiero Di Florio, che nel dicembre del 2014 il Csm targato Legnini nominerà procuratore di Vasto (fugando in questo modo i dubbi e le perplessità che durante la mia presidenza all’Anm erano stati sollevati in occasione dell’arresto di Del Turco, da tutti stimato per la sua attività di presidente della commissione antimafia, per il mancato rinvenimento della somma di denaro oggetto della corruzione).
Ma più che altro emerge il sottobosco della lottizzazione: piccoli piaceri, tipo i biglietti per lo stadio, pressioni e liti per nomine di secondo piano, invidie e gelosie tra colleghi, e cose simili”.
L’atto “politico” contro Del Turco
L’avvocato di Del Turco, Giandomenico Caiazza, spiega che per l’ex presidente della Regione Abruzzo la priorità politica era quella
“di ricondurre nella legalità il rapporto tra sanità pubblica e privata, istituendo finalmente un meccanismo di controllo serio e credibile sull’immenso flusso di denaro pubblico che confluiva senza freni nella sanità privata convenzionata. In tre anni al governo della Regione – come alla fine hanno dovuto prendere atto, dalla Corte di Appello in avanti, gli stessi suoi giudici- la Giunta Del Turco, semplicemente accertando irregolarità ed illegittimità retributive del più vario genere, aveva revocato alle cliniche private abruzzesi qualcosa come un centinaio di milioni di euro. Per darvi una dimensione della enormità di quella scelta politica ed amministrativa, sappiate che la precedente Giunta aveva contestato e recuperato, allo stesso titolo, 200mila euro. Cento milioni contro duecentomila euro.“