Angelo Vassallo: cuore e giustizia
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Ci sono voluti oltre tredici anni per arrivare a un punto di svolta nell’omicidio di Angelo Vassallo, il sindaco di Pollica freddato con nove colpi di pistola nella notte tra il 5 e il 6 settembre 2010.

Omicidio Vassallo: si va a processo. C’è anche il carabiniere Cagnazzo. Un delitto che ha attraversato depistaggi, silenzi e reticenze, fino a quando la Procura di Salerno non ha deciso di chiudere ufficialmente le indagini, delineando un quadro inquietante.

Secondo i magistrati, Vassallo fu eliminato perché si opponeva allo spaccio di droga lungo la costa cilentana. Una zona dove la cocaina arrivava facilmente e dove l’azione del sindaco stava diventando scomoda per certi affari. A distanza di anni, emergono nomi e ruoli che danno un volto ai responsabili, tra cui uomini delle forze dell’ordine e imprenditori. Ma dietro l’assassinio, ci sarebbe anche una rete di coperture e depistaggi orchestrati per insabbiare tutto.

Un omicidio “necessario” per proteggere il business della droga

L’inchiesta della Procura di Salerno non lascia spazio ai dubbi: Angelo Vassallo dava fastidio. Il primo cittadino di Pollica, con la sua amministrazione attenta alla tutela del territorio e della legalità, si era accorto di un traffico di cocaina che sporcava il turismo dorato del Cilento. La droga arrivava nei locali e nei lidi della zona, gestita da personaggi legati alla criminalità organizzata.

Vassallo voleva fermare tutto. Lo aveva detto, lo aveva denunciato. E per questo, doveva morire.

A orchestrare l’omicidio, secondo la Procura, sarebbero stati quattro uomini:

Fabio Cagnazzo, colonnello dei carabinieri, attualmente detenuto;

Lazzaro Cioffi, ex carabiniere e suo braccio destro;

Giuseppe Cipriano e Romolo Ridosso, imprenditori che, secondo le accuse, avevano legami con il traffico di stupefacenti.

Questi nomi non spuntano dal nulla. Cagnazzo e Cioffi non erano semplici spettatori: Cioffi è già noto per le sue relazioni pericolose con il clan Fabbrocino, mentre Cagnazzo, arrivato a coordinare le indagini sull’omicidio, potrebbe aver manipolato prove e indirizzato le indagini lontano dalla verità.

Nel frattempo, altri nomi emergono nei fascicoli dell’inchiesta: i fratelli Domenico, Giovanni e Federico Palladino, imprenditori collegati allo spaccio, e Giovanni Cafiero, vicino al narcotrafficante Maurelli. Un circuito di droga, affari e connivenze che avrebbe reso necessaria l’eliminazione di Vassallo.

Depistaggi, errori e silenzi: perché ci sono voluti 13 anni?

Chi ha indagato sul caso nei primi anni ha spesso trovato porte chiuse. Testimoni reticenti, piste abbandonate, errori clamorosi. Si è parlato perfino di depistaggi interni alle forze dell’ordine.

Uno degli elementi più controversi riguarda proprio il ruolo di Fabio Cagnazzo. All’epoca, era lui a coordinare i carabinieri della zona e fu tra i primi a intervenire dopo il delitto. Secondo gli inquirenti, avrebbe pilotato le indagini, sviando l’attenzione e garantendo tempo prezioso ai veri mandanti per coprire le loro tracce.

Alcuni episodi rimasti nell’ombra per anni sono ora tornati sotto i riflettori:

• Il ritrovamento di un proiettile dentro la macchina di Cagnazzo nei giorni successivi all’omicidio. Un dettaglio inquietante che potrebbe riscrivere il ruolo dell’ufficiale nella vicenda.

• L’assenza di immediate perquisizioni o sequestri negli ambienti sospetti, nonostante le segnalazioni di Vassallo sullo spaccio nella zona.

• La gestione anomala delle prime indagini, con testimoni non ascoltati e piste mai battute.

Tutti elementi che oggi pongono una domanda: quanto è stato volutamente insabbiato?

Un processo in arrivo?

Con la chiusura dell’inchiesta, si apre ora il capitolo giudiziario. La palla passa ai giudici: saranno loro a decidere se mandare a processo i quattro accusati. Nel frattempo, gli indagati si dichiarano innocenti e pronti a dimostrare la loro estraneità ai fatti.

Ma la domanda più importante resta: il mosaico è completo o mancano ancora pezzi?

Perché la sensazione, dopo tredici anni di silenzi e insabbiamenti, è che il sistema che ha ucciso Angelo Vassallo sia più grande di quattro nomi. E che dietro l’omicidio del “sindaco pescatore” ci sia una struttura ben più ampia, fatta di uomini d’affari, politici e forze dell’ordine infedeli, che per anni ha dominato indisturbata.

Il Cilento aspetta giustizia. Ma la giustizia, in Italia, ha il brutto vizio di arrivare quando il tempo ha già lavato via troppe verità.

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