L’ipotesi è quella che Fabrizio Piscitelli avrebbe potuto avere un appuntamento col suo assassino. L’esecuzione dell’ex capo della tifoseria laziale, freddato ieri in un parco di Roma con un colpo di pistola alla nuca, rientra, secondo gli inquirenti, in una vera e propria esecuzione che lascia in piedi l’ipotesi della mano della criminalità organizzata, ovvero quello dei clan non solo italiani.
La Procura sta seguendo anche la pista che porta verso Est, ovvero quello dei rapporti che Piscitelli aveva da tempo con la mafia albanese. Il nome di Diabolik compare, tra l’altro, anche nelle carte di Mafia Capitale e in particolare del gruppo, la cosiddetta “Batteria di Ponte Milvio”, attivo nella zona nord di Roma e di cui, sembrerebbe, Piscitelli faceva parte. Spaccio di cocaina grazie anche ai fitti rapporti d’affari con la criminalità albanese.
Intanto gli investigatori stanno scandagliando le registrazioni delle telecamere di videosorveglianza della zona per risalire al responsabile mentre la procura indaga per omicidio volontario aggravato dal metodo mafioso. Il fascicolo sulla morte di ‘Diabolik’ è affidato ai magistrati della Direzione distrettuale antimafia. La Squadra mobile di Roma sta ascoltando diversi testimoni per acquisire elementi utili alle indagini. Oggi sarà eseguita l’autopsia di Piscitelli al policlinico Tor Vergata.
Il killer avrebbe indossato una tuta da jogging, probabilmente per mimetizzarsi tra le persone che a quell’ora corrono nel parco, e ha avvicinato alle spalle Piscitelli che era seduto su una panchina sparando un unico colpo all’altezza dell’orecchio sinistro. Poi sarebbe scappato a piedi su via Lemonia.
“Aveva debiti per questioni di droga, e quando nel 2016 gli hanno sequestrato tutto il patrimonio, compresa la villa dove abitava, non si è più rialzato”. A raccontarlo all’Agi, Vincenzo, ex ultra’ della Lazio, e grande amico di Piscitelli. “Ultimamente – aggiunge – ci sentivamo poco. Ho dei figli da tutelare e so’ uscito da certi giri”. Le lotte tra ultras rivali c’entrano davvero poco con l’omicidio. “Tra tifoserie non ci si comporta così. Io e Fabrizio abbiamo preso coltellate a Bergamo, dopo una partita tra Atalanta e Lazio, era diversi anni fa, sono stato anche ricoverato in ospedale”, racconta Vincenzo che aggiunge: “Nessuno ti spara alle spalle per questioni di tifo, questa è roba da criminali”.