Morte e sangue non bastano per scioccare: serve altro. Non basta più raccontare ogni giorno, ogni ora, ogni secondo che ogni angolo, ogni spazio, ogni centimetro di questa terra è pervasa di odio e rancore. Non basta. Bisogna mostrarne gli effetti ma stando attenti alle cause.
di Antonio del Furbo
Quali sono le cause che hanno spinto Fabio Di Lello ad assassinare Italo D’Elisa? Non lo sappiamo e non è questo il luogo adatto per dare risposte esatte sull’accaduto. Di tribunali a schermo piatto e in carta straccia ce ne sono già troppi.
Quello che vorremmo capire è se la pubblicazione delle immagini di un morto assassinato può essere utile alla comprensione dei fatti e, soprattutto, all’accrescimento culturale dell’uomo.
A credere all’elevazione umana, forse, è il direttore del Centro Primo Di Nicola. In prima pagina, infatti, il quotidiano abruzzese ha sbattuto la foto di Italo D’Elisa appena morto.
(viso coperto da Zonedombra)
Italo D’Elisa era nel bar, appena è uscito ha avuto una discussione con Fabio Di Lello che lo ha freddato con tre proiettili che hanno colpito il giovane al cranio e agli addominali. Il 22enne è morto per un gravissimo trauma cranio-encefalico oltre che addominale. Lì, a distanza di minuti, è arrivato il fotografo del quotidiano abruzzese che ha scattato le foto al giovane riverso a terra. E poi pubblicate.
Servono queste immagini che abbiamo ripreso direttamente dalla prima pagine del quotidiano abruzzese?
“Sì, si può e si deve pubblicare una foto così” rispondono dal quotidiano. “Per ricordare a tutti quanto vale una vita. Per mostrare quali sono le conseguenze di un gesto. Per tentare di rimettere le cose a posto. Per uscire dalla giungla e tornare allo Stato di diritto. Per dire che non siamo nel far west. E che la violenza fa male, tanto male. Come male fanno le immagini del delitto. Che tutti adesso vorremmo magari cancellare. Come vorremmo cancellare la realtà che non ci piace. Per mettere a posto le nostre coscienze”.
Ovviamente, le motivazioni del quotidiano non convincono me e, soprattutto, molti lettori che sulla pagina Facebook hanno stigmatizzato il comportamento del giornale:
“questo è sciacallaggio. … quante copie in più avete venduto? Sarete contenti adesso?”
“Una foto di un ragazzo ucciso brutalmente per strada ci dovrebbe ricordare il valore della vita? Ma se fosse stato suo figlio o suo fratello?”
“questo è sciacallaggio e mancanza di rispetto per un defunto”
“Vi denuncerei….immediatamente….se avete cuore…dovreste ritirare immediatamente queste copie…io con una copertina cosi il giornale non lo compro”
“Quella foto, che rappresenta un essere umano alla fine della sua vita, per cause violente su un marciapiede é altamente lesiva della dignità personale di chi é indiscutibilmente la vittima di un delitto.”
Dunque, il direttore Di Nicola fornisce il suo punto di vista alla discussione:
“Il post è sulla mia bacheca e per il rispetto che vi porto non posso non commentare: solo una cosa, non è detto che tutte le cose sulle quali non siamo d’accordo siano delle idiozie. Noi del Centro per esempio rispettiamo le vostre opinioni. Questione di civiltà”
E aggiunge:
“Vi ricordo che esiste un diritto ad essere informati e un dovere di informare. A quelli che preferirebbero non sapere suggerirei di non andare a guardare. Ma non possono, costoro, pretendere di togliere un diritto a chi la pensa diversamente”
Certo, il diritto. E cosa dice la legge in proposito?
Intanto diciamo subito che in Italia non esiste il diritto di pubblicare quello che si vuole. Già l‘articolo 21 sulla libertà di stampa (sesto comma) della Costituzione:
“vieta le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume”.
Per buon costume s’intende comune sentimento della morale. I limiti all’esercizio del diritto di cronaca e di critica sono sostanzialmente due e sono racchiuse nell’articolo 2 della legge n. 69/1963 sull’ordinamento della professione giornalistica:
il rispetto della dignità della persona e il rispetto della verità sostanziale dei fatti.
Principi che riflettono le norme costituzionali e i valori affermati in diverse sentenze della Corte costituzionale. La stessa Corte che è intervenuta con una sentenza riguardo l’articolo 15 della stampa, ovvero sulle pubblicazioni a contenuto impressionante o raccapricciante.
A chi riteneva l’articolo 15 della legge sulla stampa illegittimo, la Corte ha risposto con la sentenza n. 293/2000.
“Quello della dignità della persona umana è valore costituzionale che permea di sé il diritto positivo e deve dunque incidere sull’interpretazione di quella parte della disposizione in esame che evoca il comune sentimento della morale”.
Per i giudici sono state raccapriccianti e impressionanti anche le foto del cadavere di Aldo Moro, quelle del corpo in decomposizione di Alfredino (il piccolo finito nel pozzo di Vermicino).
“L’articolo 15 della legge sulla stampa del 1948…. non intende andare al di là del tenore letterale della formula quando vieta gli stampati idonei a “turbare il comune sentimento della morale”. Vale a dire, non soltanto ciò che è comune alle diverse morali del nostro tempo, ma anche alla pluralità delle concezioni etiche che convivono nella società contemporanea. Tale contenuto minimo altro non è se non il rispetto della persona umana, valore che anima l’articolo 2 della Costituzione, alla luce del quale va letta la previsione incriminatrice denunciata. Solo quando la soglia dell’attenzione della comunità civile è colpita negativamente, e offesa, dalle pubblicazioni di scritti o immagini con particolari impressionanti o raccapriccianti, lesivi della dignità di ogni essere umano, e perciò avvertibili dall’intera collettività, scatta la reazione dell’ordinamento. E a spiegare e a dar ragione dell’uso prudente dello strumento punitivo è proprio la necessità di un’attenta valutazione dei fatti da parte dei differenti organi giudiziari, che non possono ignorare il valore cardine della libertà di manifestazione del pensiero. Non per questo la libertà di pensiero è tale da inficiare la norma sotto il profilo della legittimità costituzionale, poiché essa è qui concepita come presidio del bene fondamentale della dignità umana”.
Insomma, se per una moltitudine di persone la foto può andare oltre la dignità dell’essere umano, potrebbe scattare il reato disposto nell’articolo 528 del Codice penale che si applica:
“anche nel caso di stampati i quali descrivano o illustrino, con particolari impressionanti o raccapriccianti, avvenimenti realmente verificatisi o anche soltanto immaginari, in modo da poter turbare il comune sentimento della morale o l’ordine familiare o da poter provocare il diffondersi di suicidi o delitti”.
Una sentenza che, tra l’altro, si trova anche nel sito del Consiglio dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia e il Consiglio nazionale dell’Ordine che hanno fatto proprio l’indirizzo della Corte costituzionale sul piano deontologico. Tant’è che c’è stato il caso di ‘Libero’ con la radiazione dall’albo del direttore del quotidiano (in primo grado).
La foto pubblicata dal Centro è andato contro il comune senso del pudore di qualcuno?
A quanto pare sì. Ma il quotidiano, nonostante le proteste, ha deciso di rafforzare la sua scelta pubblicando i fotogrammi (4) dell’incidente che ha provocato la morte della moglie di Di Lello investita da D’Elisa.
“Avete anche una foto in prima pagina del corpo esanime di Roberta (la moglie di Fabio Di Lello) letteralmente volata dalla moto che ricordi a tutti che bisogna fermarsi al semaforo quando è rosso, non bisogna andare a 100 km/h in città e bisogna prestare soccorso quando si investe una persona?” ha chiesto un lettore sulla pagina Facebook del quotidiano.
Anche in questo caso, le immagini cos’hanno aggiunto?
Nel caso del piccolo Aylan disteso sulla sabbia che sembra dormire, forse qualcosa di sensato c’era. Ci ha riportato alla realtà di una guerra e ci ha liberato da bugie e retorica politica sull’immigrazione. Il corpo di Aylan ci ha riportato all’essenza del problema senza strumentalizzazioni. Un corpo di un bimbo morto che convinse l’allora prmier britannico, David Cameron, a rivedere le posizioni sull’immigrazione.
E la foto del corpo riverso a terra di D’Elisa che contributo fornisce?