Odessa, il silenzio che brucia: la Corte Europea condanna l’Ucraina per la strage del 2014
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48 morti dimenticati e indagini insabbiate: cosa c’è dietro la sentenza che mette in discussione l’Ucraina “paladina della democrazia”

Odessa, il silenzio che brucia: la Corte Europea condanna l’Ucraina per la strage del 2014. L’immagine che l’Occidente costruisce dell’Ucraina negli ultimi anni è chiara: una nazione eroica, sotto attacco, che difende i valori democratici contro l’invasore russo. Ma c’è un’altra Ucraina, quella che emerge nelle pieghe degli eventi rimossi, negli atti giudiziari che sfuggono alla narrazione ufficiale. A ricordarcelo oggi è la Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha puntato il dito contro Kiev per una delle pagine più oscure della sua recente storia: la strage di Odessa del 2 maggio 2014.

Una condanna che mette in crisi l’immagine dell’Ucraina come vittima perfetta e obbliga tutti — media compresi — a guardare con occhi diversi le responsabilità di un Paese che, nel silenzio internazionale, ha ignorato le più basilari norme dei diritti umani.

Odessa 2014: il giorno in cui la democrazia è bruciata viva

Sono passati più di dieci anni da quel tragico pomeriggio. Odessa, città storicamente legata alla Russia, diventa teatro di scontri violentissimi tra gruppi nazionalisti filo-ucraini e manifestanti filo-russi. Dopo ore di tensione crescente, un incendio devastante divampa nella Casa dei Sindacati, dove si erano rifugiati decine di attivisti filo-russi. Il bilancio è agghiacciante: 48 morti, la maggior parte bruciati vivi o soffocati dal fumo.

Sin da subito le autorità ucraine minimizzano. I responsabili dell’incendio? Una folla inferocita, senza volti né nomi. Le indagini? Superficiali, incomplete, incapaci di individuare mandanti e colpevoli. Il messaggio che passa è chiaro: quella strage non deve avere colpevoli ufficiali. È “colpa del caos”, come se il fuoco avesse agito da solo.

La CEDU smonta il castello di carte

È in questo contesto che si inserisce la storica sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, pubblicata pochi giorni fa. I giudici di Strasburgo accusano l’Ucraina di aver violato l’articolo 2 della Convenzione europea, quello che tutela il diritto alla vita.

Non solo: la Corte evidenzia che Kiev non ha condotto un’indagine imparziale ed efficace sulla strage. Le autorità ucraine, anziché fare luce, hanno insabbiato, temporeggiato, protetto chi — direttamente o indirettamente — ha contribuito a quella carneficina.

Un’accusa pesantissima che ribalta l’immagine di uno Stato “virtuoso” sotto assedio. La democrazia, sostiene la Corte, non può essere difesa con l’omertà e la violazione sistematica dei diritti umani.

Un doppio standard occidentale

E qui sorge spontanea una domanda: perché questa condanna non ha trovato spazio sulle prime pagine dei giornali mainstream?

Lo schema sembra essere sempre lo stesso: quando un Paese è percepito come “alleato strategico”, certi scheletri si tengono ben chiusi nell’armadio. Così, mentre Russia e altri Stati “nemici” vengono quotidianamente messi sotto processo mediatico per crimini contro i civili, quando è l’Ucraina a inciampare, cala il silenzio.

La sentenza della CEDU non è l’unico caso che dovrebbe far riflettere. Già nel 2013, la stessa Corte condannò Kiev per il trattamento riservato all’ex premier Julija Tymošenko, la cui detenzione preventiva fu giudicata illegale. E nel 2005, sempre la CEDU condannò l’Ucraina per la gestione opaca dell’omicidio del giornalista Georgij Gongadze.

È evidente che il problema non nasce oggi. L’Ucraina presenta da anni criticità strutturali nella tutela dei diritti fondamentali. La guerra con la Russia ha solo contribuito a spostare l’attenzione altrove, coprendo crepe che invece meritano di essere esposte.

Lo scomodo ruolo della Corte penale internazionale

La questione si fa ancora più spinosa guardando in prospettiva. Dal 1° gennaio 2025, l’Ucraina è ufficialmente membro della Corte penale internazionale (CPI), avendo ratificato lo Statuto di Roma.

Questo significa che, almeno teoricamente, Kiev è ora sotto giurisdizione della CPI per eventuali crimini di guerra o crimini contro l’umanità commessi anche nel corso dell’attuale conflitto. Ma quanti sono pronti, oggi, ad accettare che l’Ucraina possa essere processata come qualsiasi altro Stato?

L’ingresso nella CPI apre scenari imprevedibili. Nonostante l’appoggio politico e militare che Kiev riceve dall’Occidente, la Corte non dovrebbe avere doppie velocità. Se esistono prove di violazioni gravi, anche da parte ucraina, dovrebbero essere oggetto di indagine, senza sconti né favoritismi.

Odessa è un monito per tutti

La sentenza su Odessa è quindi molto più di un capitolo chiuso. È un monito per chi si illude che le democrazie possano essere difese a colpi di manganello, omertà e propaganda. La difesa dei valori occidentali non può procedere ignorando o giustificando crimini e mancanze, solo perché “conveniente” farlo.

La credibilità dell’Europa e delle istituzioni internazionali si gioca anche su questo: avere il coraggio di guardare agli errori dei propri alleati con lo stesso rigore che si usa verso i nemici.

Non c’è vera giustizia senza imparzialità.

L’Ucraina ha ora l’obbligo di rispondere non solo alla Corte, ma alla propria coscienza civile e politica. La sentenza di Strasburgo pesa come un macigno, e rappresenta un’occasione per fare finalmente chiarezza su quanto accaduto a Odessa.

Nel frattempo, il silenzio dei media occidentali ci ricorda quanto sia difficile raccontare la verità quando la verità disturba.

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