Il Referendum del 2016 le aveva provate ad abolire ma senza successo. Sono state ridimensionate ed oggi servono alla politica solo per sistemare chi non trova altro da fare.
Un ente indefinito. Sia per competenze, sia per la sua ragion d’essere. E che va avanti grazie al sostegno di sindaci e amministratori con l’occasione di avere più mani in più posti. In sostanza più potere. Ecco perché sono state salvate. Perché poi, in realtà, le Province non servono a nulla ormai. E, come nel caso della Provincia di Chieti, è l’esempio dell’inefficienza e dell’inutilità.
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E accade, dunque, che si indicano elezioni provinciali e un candidato, tale sindaco di Vasto Francesco Menna, ne esca vittorioso. La macchina da guerra della propaganda è già pronta ad autoelevare il personaggio a simbolo di un nuovo rinascimento ma arriva la doccia fredda. Sindaci e consiglieri torneranno alle urne giovedì il 23 dicembre per eleggere presidente e consiglio provinciale. Il motivo? Per un clamoroso errore nella consegna delle schede in 16 dei 104 comuni del territorio.
In sostanza ogni scheda ha un peso diverso nel calcolo dei risultati in base alla grandezza del comune. Le schede sbagliate sarebbero state consegnate ai Comuni dai 3mila ai 5mila abitanti ed ancora a quelli dai 10mila ai 30mila abitanti. Morale della favola: dopo un lungo confronto (immaginiamo lo sforzo immane), la commissione elettorale ha deciso di ripetere le elezioni, ma esclusivamente per i rappresentanti di 16 comuni. Dunque, il segretario generale Franca Colella, scende in campo e firma il documento che rinvia tutto al giorno dell’antivigilia di Natale. Torneranno al voto i comuni di Casalincontrada, Castel Frentano, Cupello, Miglianico, Orsogna, Paglieta, Ripa Teatina, Scerni, Tollo, Torino di Sangro, Torrevecchia Teatina. E quelli con popolazione superiore a 10mila e fino a 30mila: Atessa, Francavilla al Mare, Ortona, San Giovanni Teatino, San Salvo.
Non contenti della figuraccia, il segretario generale Colella ha un lampo di genio:
“Si è deciso di non annullare la procedura contemperando sia il principio di conservazione del procedimento elettorale che quello dell’effettività del voto, autenticità e genuinità, le elezioni del 18 dicembre sono valide, fatta eccezione per i voti espressi dagli elettori dei comuni con popolazione superiore a 3.000 e fino a 5.000 abitanti e dagli elettori dei comuni con popolazione superiore a 10.000 e fino a 30.000”.
Insomma, le elezioni provinciali sono valide a metà. E, intanto, una parte di elettori se li tengono e l’altra parte li fanno rivotare. È evidente che ci sono delle responsabilità – gravi – su cui bisognerebbe indagare più a fondo.
Di chi la responsabilità materiale? Del presidente? Di un suo delegato? Una volta individuato il responsabile è giusto che paghi oppure viene lasciato tutto a tacere come sempre accade in Italia per gli amici degli amici?
Per fortuna un sibilo di orgoglio si eleva dal centrodestra che individua “gravi violazioni di legge e fatti penalmente rilevanti”. Staremo a vedere.
Chissà cosa ne penserebbe Urbano Rattazzi, che fissò l’ordinamento delle Province nel 1859 dopo che Torino conquistò la Lombardia. Altri tempi, altri uomini. Oggi i loro rappresentanti manco sanno consegnare le schede elettorali. Che triste fine.