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’Ndrangheta a Brescia: voti, affari e armi in mano ai Tripodi

’Ndrangheta a Brescia: voti, affari e armi in mano ai Tripodi

Dietro la facciata di carità e politica, si nascondeva un intreccio di potere e violenza.

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Dietro la facciata di carità e politica, si nascondeva un intreccio di potere e violenza.

’Ndrangheta a Brescia: voti, affari e armi in mano ai Tripodi. La suora che veicolava ordini ai detenuti, il medico che curava affiliati feriti fuori orario, e il politico pronto a scambiare appalti per voti: tre figure insospettabili, ora agli arresti domiciliari, coinvolte in un sistema di stampo mafioso. Con loro, altre otto persone si trovano nella stessa condizione, mentre quattordici sono già dietro le sbarre.

La Direzione distrettuale antimafia di Brescia accusa il gruppo di associazione mafiosa con un curriculum criminale che spazia dall’estorsione all’usura, dalla corruzione al traffico di droga e armi. Glock e mitragliette Uzi erano solo una parte dell’arsenale che sosteneva un’organizzazione capace di infiltrarsi nelle attività economiche locali, dalle pasticcerie agli appalti pubblici.

Al vertice dell’organizzazione, Stefano Tripodi, 64 anni, originario di Sant’Eufemia d’Aspromonte ma radicato nel bresciano, gestiva tutto: affari, criminalità e rapporti con la potente cosca Alvaro di Sinopoli. Al suo fianco, il figlio Francesco, 42 anni, incaricato di punire chi non rispettava le regole e di mantenere i rapporti con le altre “locali” lombarde. Attorno a loro, una squadra di fedelissimi: uomini che si occupavano di riciclare auto, eludere controlli, riscuotere crediti e curare il business delle fatture false.

Il ruolo della “monaca” e le promesse del politico

Tra i tasselli più inquietanti emerge suor Anna Donelli, che in carcere non si limitava al conforto spirituale ma agiva da messaggera per l’associazione. Le intercettazioni raccontano di una donna consapevole del suo ruolo e del potere della famiglia Tripodi, tanto da rassicurare la nipote del boss dopo un incidente, dicendo che “ci avrebbero pensato i suoi amici”.

Sul fronte politico, spunta Mauro Galeazzi, ex candidato sindaco di Castel Mella per la Lega. Secondo gli inquirenti, il “santista” Tripodi lo avrebbe sostenuto con denaro e voti, in cambio della promessa di appalti, come quello per una futura casa di riposo. Tra i complici, anche Giovanni Acri, consigliere comunale di Fratelli d’Italia, accusato di concorso esterno: il medico calabrese avrebbe chiesto l’aiuto dei Tripodi per aprire un centro migranti nella sua terra d’origine.

Un impero che crolla

L’inchiesta ha portato a perquisizioni da nord a sud Italia e al sequestro di beni per quasi 1,8 milioni di euro. Le intercettazioni rivelano il modus operandi tipico della ‘Ndrangheta: minacce, pistole spianate e buche scavate come monito. La Brescia dei Tripodi era un microcosmo dove affari legali e illeciti si intrecciavano, alimentando un sistema mafioso che sembrava intoccabile.

Ma questa volta, l’illusione di impunità si è infranta. La giustizia ha colpito duramente, smantellando una rete che faceva tremare l’economia e la politica del territorio. Per la Brescia onesta, è solo l’inizio di una lunga battaglia contro un sistema che non lascia spazio alla legalità.

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