L’ex sindaco di Riace Mimmo Lucano avrebbe avuto un bel po’ di “aiutini” conclamati di una parte della magistratura più rossa.
Aiutini al “Modello Riace” che però non l’hanno salvato da una pesantissima condanna in primo grado a 13 anni e due mesi di detenzione. E 700mila euro di risarcimenti per colpa di qualche leggerezza amministrativa e contabile sui soldi che arrivavano dal Viminale. E gestiti “con una logica predatoria”, scrivono i giudici nelle motivazioni, da persone “sempre più asservite ai loro appetiti di natura personale, strumentalizzando a loro vantaggio il sistema dell’accoglienza”. Una sentenza durissima, quella scritta dallo stesso presidente del Tribunale Fulvio Accurso, che i legali di Lucano confidano di cancellare in appello.
Il procedimento sarebbe già incardinato davanti alla seconda sezione penale della Corte d’Appello di Reggio Calabria, presieduta dal giudice Olga Tarzia. La questione da dirimere, secondo la difesa di Lucano, è che tutto ciò che faceva l’ex sindaco di Riace era nel solo interesse dei migranti, non certo per arricchirsi né per fare politica. Uno scenario assai distante da quello che il Tribunale di Locri ha descritto nelle motivazioni della condanna.
Nasce tutto da alcune ispezioni della Prefettura di Reggio Calabria.
Non mancano gli elogi per la capacità di offrire un rifugio ai tanti richiedenti asilo ospitati. Ma alcuni immobili utilizzati non avrebbero rispettato i requisiti di legge. Pochi, tra i richiedenti asilo, venivano effettivamente coinvolti nei progetti per l’integrazione e in quelli per l’erogazione dell’assistenza legale. Il prefetto di allora, Michele Di Bari, accusato di essere “leghista” e di simpatie salviniane, manda le relazioni dei suoi ispettori sul tavolo della procura di Locri che comincia a indagare. Mimmo Lucano, nel frattempo, era ben consapevole dei riflessi positivi del “Modello Riace” in grado di riscuotere consensi sia in Prefettura che tra la magistratura.
C’era qualcuno che lo aiutava, attraverso preziosi consigli, su come difendere l’applicazione concreta del sistema di accoglienza targato Mimmo Lucano. Si tratta di Emilio Sirianni, anima di Magistratura democratica in Calabria – regione che esprime il presidente della storica corrente, il pm anti ‘ndrangheta Stefano Musolino – nonché autore di articoli sulla giustizia per il magazine online QuestioneGiustizia diretto dall’ex pm Nello Rossi.
Non solo Sirianni
Secondo i pm di Locri, Sirianni sarebbe stato più di un amico, quasi un mentore. Avrebbe, infatti, “redatto controdeduzioni in favore di Lucano” pur senza sfociare in modalità “atte a inquinare lo scenario probatorio“, neppure quando invitava Lucano a cancellare alcune mail.
Certo, Sirianni non sarebbe l’unica toga a manifestargli sostegno: in una conversazione captata Lucano si vanta “dell’appoggio di una parte della magistratura”. E nella sentenza che lo condanna si parla anche dei rapporti proprio con Olga Tarzia, da dicembre 2017 presidente di sezione della Corte d’Appello di Reggio Calabria. Che a Lucano avrebbe detto, secondo la versione dell’ex sindaco:
“Siamo con voi… C’è stata la riunione di tutti i magistrati democratici. Ci dovete dire come evolve questa situazione con la Prefettura e prenderemo una posizione”.
Se fosse confermato che quella presieduta dalla dottoressa Olga Tarzia sarà la sezione che giudicherà Mimmo Lucano, siamo sicuri che sia la più idonea per giudicarlo?