Vogliono apparire a tutti i costi, essere le prime donne del Covid. Li trovi in ogni trasmissione televisiva e su ogni colonna di giornale. Non passa ora e giorno che non dicano qualcosa sulla pandemia. E a volte farebbero bene a stare zitti. Medici, virologi e Cts.
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La parola d’ordine ora è lockdown. Da un paio di giorni sta serpeggiando negli ambienti del Cts di nuovo la minaccia del blocco totale come a marzo 2020. Segno evidente che le decine di task force istituite, insieme a medici e virologi, non ancora ci capiscono nulla. Insieme ad una politica che, evidentemente, le ha sbagliate tutte. E siccome non sanno che pesci prendere, allora continuano a giocare sulla guerra psicologica.
C’è il fronte del sì, quello del no e anche quello del forse.
La proposta di un lockdown totale viene supportata dal consigliere dell’ancora ministro Roberto Speranza, Walter Ricciardi. Dichiarazione che ha scatenato un fiume di reazioni. Non solo politiche ma anche tecniche.
Su “un lockdown breve e mirato, di 2, 3 o 4 settimane”, secondo Ricciardi, ossia il tempo necessario a riportare l’incidenza di Covid-19 al di sotto dei 50 casi per 100mila abitanti, si è schierato il virologo Andrea Crisanti. “Il lockdown andava fatto già a dicembre, ora – spiega – è fondamentale una chiusura dura per evitare che la variante inglese diventi prevalente e abbia effetti devastanti. D’altronde così è in Germania, Francia e Inghilterra”.
Pieno appoggio a Crisanti anche da Massimo Galli che difficilmente lascia uno studio televisivo. “Le nuove varianti portano sicuramente più infezioni e più problemi – sottolinea – E purtroppo la conclusione non può che essere la soluzione paventata dal professor Ricciardi. Il sistema della divisione dell’Italia a colori – aggiunge Galli- non sta funzionando. E la prova è nei fatti”.
Claudio Mastroianni, direttore del Dipartimento di Malattie infettive del Policlinico Umberto I di Roma precisa: “Non voglio entrare nella polemica – dice – ma siamo in una situazione preoccupante. Ora più che mai serve la massima attenzione e bisogna stare molto accorti e valutare misure più stringenti e anche l’idea di un lockdown. Siamo di fronte a una settimana decisiva”.
No lockdown
Di lockdown generale non vuole sentir parlare invece Francesco Vaia, direttore sanitario dello Spallanzani di Roma, l’ospedale italiano in cui ormai un anno fa venne sequenziato per la prima volta il coronavirus: “Un lockdown totale secondo me non serve – spiega – ma bastano lockdown chirurgici laddove se ne verifichi la necessità. Non si tratta, dunque, di aggravare le misure, ma applicare con severità quelle che abbiamo: non ci fate vedere più assembramenti – è il suo appello – così riguadagneremo in futuro spazi di libertà”. Della stessa idea Pierluigi Lopalco, epidemiologo ma anche assessore alla Sanità in Puglia: “Semmai in questo momento penserei a delle misure selettive, rafforzate, per evitare tutte quelle situazioni in cui virus circola di più e che conosciamo ormai bene”.
Sì, ma attenzione alle rivolte…
Il virologo dell’università degli Studi di Milano, Fabrizio Pregliasco, dà ragione dal punto di vista scientifico al consigliere di Speranza, ma dice, “credo che un lockdown totale sia difficile da proporre dal punto di vista dell’opportunità politica e del disagio e della ribellione sociale che si rischierebbe”. Per l’esperto, meglio tentare prima una via “più accettabile”, provare a “rivedere i parametri di aperture e chiusure, essere più flessibili. Perché, si sa, quando una regione va nella fascia gialla, il rischio di perdere i progressi ottenuti c’è”. Un’opzione sono ad esempio, gli “interventi chirurgici, zone rosse come l’Umbria, da far scattare in base a valutazioni più stringenti”. Senza bocciare del tutto il “metodo dell’Italia a colori che ci ha permesso ad oggi tutto sommato di mitigare la diffusione di Covid-19 anche se non a controllarla”.
La minaccia…
Per Massimo Andreoni, direttore scientifico della Simit e primario di Infettivologia al Policlinico Tor Vergata di Roma, “minacciare continuamente il lockdown non serve a nulla. L’Itaia ha fatto una scelta ed è quella di convivere con il virus. Abbiamo una situazione epidemiologica di stallo, in cui i numeri si stanno mantenendo costanti. Questo può essere letto in modo positivo da una parte e negativo dall’altro, perché è partita anche la campagna vaccinale e fare le immunizzazioni mentre il virus circola aumenta la capacità delle varianti di resistere. È quindi obbligatoria una cautela, ma ridiscutere oggi di fare o meno un lockdown nazionale non serve a nulla”.
Il disco rotto
Per Matteo Bassetti, direttore della clinica malattie infettive dell’ospedale San Martino di Genova, parlare di lockdown è addirittura come sentire un disco rotto: “Servirebbe un modo di comunicare più univoco, una voce unica. Invece parlano tutti: Cts, Ricciardi, Crisanti. Poi l’Iss. Chiaramente così c’è disorientamento nella popolazione. Se c’è bisogno di mettere un’area in zona rossa va fatto rapidamente, ma evitiamo di continuare a parlare di lockdown nazionale perché c’è qualcuno che è diventato un disco rotto”.
“Non siamo alla soglia di un nuovo lockdown – afferma poi Bassetti spiegando la sua posizione – Dobbiamo avere un po’ di pazienza e di ordine, e le boutade non aiutano. I numeri dicono che abbiamo il 5% dei positivi, le ospedalizzazioni sono calate e la situazione non è di emergenza. Se c’è aumento dei casi e dei ricoveri, si dovrà intervenire a livello locale con le chiusure””.
I numeri dicono che…
Giorgio Sestili, che lavora da inizio pandemia al progetto Coronavirus, dice: “I numeri ci dicono che da quattro settimane in Italia la situazione è stabile, come numero di casi, di tamponi, di ingressi in terapia intensiva e di decessi. Stabilità non significa però che vada tutto bene.
Ci stiamo abituando ad avere 2-300 vittime al giorno, che sono moltissime, prima di poter vedere l’effetto della vaccinazione. Inoltre, dai dati nazionali non è visibile la ripresa della curva che invece si osserva dai dati locali: la provincia autonoma di Bolzano, quella di Trento, l’Umbria”. Che fare? “Io credo ci sia una misura intermedia tra lockdown generalizzato e 14 Regioni in giallo, come la chiusura di tutte le attività più a rischio, scuole comprese. Sarei favorevole al lockdown solo se in parallelo ci fosse una campagna vaccinale di massa: allora ne usciremmo con una curva al minimo e immuni. Ma così non è perché mancano i vaccini e allora penso che vadano inaspriti i parametri di rischio delle Regioni e le misure”.