Un periodo bruttino per gli intoccabili della giustizia che, un giorno sì e l’altro pure, vengono, per così dire, attaccati dalle più alte cariche istituzionali. Era forse ora?
“In nessun Paese europeo è consentito passare con tanta facilità dai talk show o dalle prime pagine dei giornali a funzioni requirenti e giudicanti, fino alla presidenza di collegi di merito o della Cassazione”, ha detto il vicepresidente del Csm, Giovanni Legnini, al congresso dei penalisti. Legnini, indirettamente, ha fatto riferimento a Piercamillo Davigo, presidente della seconda sezione della Suprema corte.
Le dichiarazioni di Legnini fanno riferimento, diciamo così, alla sovraesposizione mediatica di alcuni magistrati. Qualcuno direbbe meglio tardi che mai.
“Risolvere questo problema – ha spiegato il vice del Csm – è un dovere che spetta a tutti i protagonisti che tengono al rispetto, sacrosanto, dell’indipendenza della magistratura che anche i cittadini devono percepire. Non è in discussione la libertà d’espressione, ma c’è bisogno di recuperare senso di responsabilità e un esercizio equilibrato delle funzioni”.
A far perdere le staffe a Legnini, probabilmente, la partecipazione a DiMartedì su La7 di Davigo durante il quale il magistrato ha detto che “chi prende la prescrizione deve vergognarsi”. Le dichiarazioni si riferivano al caso di Filippo Penati, l’ex presidente della provincia di Milano, che ha prima annunciato di voler rinunciare alla prescrizione in fase d’indagini preliminari, salvo poi incassare proprio la prescrizione.
Una polemica, tra l’altro, nata con le dichiarazioni del magistrato Claudio Galoppi, presidente della settima commissione del Consiglio superiore della magistratura:“Un giudice in servizio non partecipa a talk show politici lanciando giudizi morali e lasciandosi andare a commenti di natura politica. Così si getta discredito sull’intero ordine giudiziario”.
Una situazione bollente, insomma, ma che per Davigo non appare così drammatica:
“ho parlato di Filippo Penati, cioè di una persona che ha svolto ruoli amministrativi. E non ho fatto valutazioni morali, bensì ho citato e interpretato l’articolo 54 della Costituzione, secondo il quale ‘i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina e onore’. Non mi pare che chi evita una condanna grazie alla prescrizione possa rivendicare di aver svolto il suo compito con onore”.
Dunque, tutto sotto controllo e nessuna ingerenza della magistratura nella vita politica. Ma, evidentemente, le cose non stanno così visto che, addirittura, sul generale rapporto tra politica e magistratura si è scomodato persino il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella:
“La toga non è un abito di scena”, ha detto ai magistrati freschi di concorso che aspettano di prendere servizio, riuniti al Quirinale. Mattarella ha poi aggiunto:“Ci vuole spirito critico e capacità di mettere da parte le personali convinzioni quando queste non trovino fondamento nella conoscenza dei fatti acquisiti e nelle norme dell’ordinamento”. Aggiunge che il magistrato, pm o giudice che sia, “non deve né perseguire né dare l’impressione di perseguire finalità estranee alla legge, ovvero di elevare a parametro opinioni personali quando fa uso dei poteri conferitigli dallo Stato”. “Il processo penale non è una contesa fra privati che possano presumere di orientarlo condizionando i magistrati. Perciò deve svolgersi, con tutte le garanzie, solo nelle aule di giustizia. Dove il magistrato è chiamato a interpretare la legge mediante un’attività sempre originale, non adagiata sulla mera ripetizione», ma sempre in maniera «plausibile, senza mai esprimere arbitrio”. “Vi è un delicato confine, da rispettare, tra interpretazione della legge e creazione arbitraria della regola”.
E, infine, Mattarella spara la bomba finale:“L’irrinunciabile principio dell’autonomia e dell’indipendenza, garantite dall’articolo 101 della Costituzione, non può essere, in alcun modo, una legittimazione per ogni genere di decisioni, anche arbitrarie, ma rappresenta la garanzia in difesa da influenze esterne”.
Ma se la giustizia è amministrata in nome del popolo italiano, a cosa servono le correnti politiche in magistratura?