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Massimo Giletti sotto scorta per le minacce mafiose

Massimo Giletti sotto scorta per le minacce mafiose

Il giornalista televisivo, Massimo Giletti, è finito sotto scorta per le minacce ricavute dai boss dopo le sue trasmissioni riguardo le scarcerazioni

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Da un paio di settimane Massimo Giletti vive sotto scorta. Il conduttore di Non è l’Arena su La7 a tutela della sua incolumità: “Sono molto dispiaciuto e non posso dire molto. È obbligatorio, non posso sottrarmi”.

Giletti nel corso di alcune sue trasmissioni ha fatto esplodere la vicenda delle centinaia di detenuti rispediti a casa loro durante la pandemia da covid. Il giornalista è stato minacciato dal grande popolo mafioso e da Filippo Graviano, intercettato in carcere mentre, riferendosi proprio a Giletti e al giudice Nino Di Matteo, diceva: “Il ministro fa il suo lavoro e questi… Giletti e Di Matteo rompono la minchia”.

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All’indomani della misteriosa rivolta carceraria che provocò una dozzina di morti si aprirono le porte dei penitenziari di tutta Italia. Centinaia di mafiosi e criminali d’alto rango erano tornati a casa con tutte le carte a posto. Saltò fuori, e questo invece per merito di una telefonata del giudice Nino Di Matteo in trasmissione, il precedente, a tutt’oggi chiarito per niente, del suo mancato incarico alla direzione delle carceri da parte del ministro della giustizia, Alfonso Bonafede. Incarico proposto – e questo non fa mai male ricordarlo – proprio dal Bonafede al Di Matteo, da questo accettato, ma proprio dal Bonafede rimangiato, nell’arco delle ventiquattro ore.

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La miscela esplosiva deflagrò ma il problema diventò allora come salvare la poltrona al Bonafede. Un teatrino parlamentare come da copione. Oggi, nonostante l’operazione di facciata dei decreti retroattivi, la maggioranza mafiosi, sono rimasti a casa loro.

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L’11 maggio scorso, il boss palermitano Filippo Graviano, condannato per le stragi del ’92 e del ’93, ci andava giù duro per commentare l’ultima puntata di Non è l’Arena, andata in onda la sera precedente. Parlando con lo ndranghetista Maurizio Barillari diceva ad alta voce, come se volesse essere sentito dagli agenti del Gom che lo sorvegliavano: “Il ministro fa il suo lavoro e loro rompono il…”.

Il fratello di Filippo, Giuseppe, pure lui rinchiuso al 41 bis, se la prendeva anche con Abbate, che aveva partecipato alla puntata del 10 maggio chiamando in causa i fratelli terribili di Cosa nostra, i boss di tanti misteri. Il giorno dopo, Giuseppe Graviano scriveva alla moglie, Rosalia Galdi: “Purtroppo questa è l’Italia, politici e magistrati litigano per i loro imbrogli e fanno leggi restrittive, sempre per celare i loro malaffari, contro chi è stato ristretto, tipo la polemica di questi giorni, altresì hanno messo, come di consueto, il mio nome che non c’entra niente”. Le parole dei boss finiscono nelle informative del Gom“La sera del 10 maggio, quasi tutti i detenuti al 41 bis erano davanti al televisore, scrivono gli agenti della polizia penitenziaria.

Ci sono insulti anche per Rita Dalla Chiesa, figlia del prefetto ucciso nel 1982 a Palermo, ospite di Giletti. Il commento, questa volta, arriva dal boss palermitano Benedetto Capizzi, un altro irriducibile della Cupola di Riina e che attacca anche i giornalisti: “È colpa loro, se no a quest’ora stavo fuori anch’io”. Qualche giorno prima, il 6 maggio, Repubblica rivela la lista dei 376 mafiosi scarcerati durante la stagione dell’emergenza Coronavirus e quella mattina il ministro Bonafede annuncia un decreto per riportare in carcere i boss.

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