L’ex ministro della Giustizia, Claudio Martelli, afferma che la linea politica del Governo in tema di giustizia è stata da lui stesso suggerita al ministro Alfonso Bonafede. Martelli fu il padre di un decreto che nella Prima Repubblica evitò la scarcerazione di 43 mafiosi.
Il suggerimento di Martelli a Bonafede
“Sono stato io a suggerire di adottare un decreto per rimediare, ma non sono certo che abbia capito” ha detto Claudio Martelli a Repubblica. “Nel febbraio del 1991 venne da me il ministro dell’Interno Vincenzo Scotti e mi disse che c’erano 43 mafiosi che sarebbero stati scarcerati per decorrenza dei termini. Farli tornare sul territorio, a Palermo, sarebbe stato gravissimo. Varammo così nottetempo in consiglio dei ministri un decreto legge con cui si dava un’interpretazione autentica della norma sulla decorrenza, evidentemente ambigua e generatrice di errori. Ciò permise ai magistrati di bloccare le liberazioni”.
L’annuncio di Bonafede e la differenza con il passato
Il ministro annuncia una soluzione per riportare in carcere i tanti detenuti mafiosi che, grazie al coronavirus, sono riusciti a ottenere i domiciliari. Il ministero dovrebbe mettere a punto un vincolo normativo che riporti gli ex detenuti al 41bis e nei reparti di Alta sicurezza davanti ai giudici di Sorveglianza.
A livello Costituzionale la legge che permetteva la scarcerazione dei boss nella Prima Repubblica presentava dei dubbi interpretativi. Il decreto di Bonafede, però, è diverso spiega l’ex ministro socialista. “I magistrati di sorveglianza hanno applicato una legge giusta, ma che non c’entra con il caso in questione. L’errore comincia con la circolare del Dap, subito sfruttata ovviamente dagli avvocati dei detenuti. In qualche modo i magistrati di sorveglianza sono stati costretti ad applicare una legge che però non c’entra con il fatto in questione”.
L’errore del ministro
L’errore di Bonafede è stato “Nel non prevedere delle soluzioni alternative per i boss a rischio. Sezioni ad hoc dentro le carceri, oppure negli ospedali, o in alberghi vuoti. Potevano essere trasferiti lì, piantonati e sorvegliati, anziché mandarli a casa col rischio di fuga e la certezza che tornassero a comandare”.
Riguardo all’incarico all’Ufficio Affari penali offerto da Bonafede a Nino Di Matteo, Martelli precisa: “Quando Bonafede voleva convincerlo ad accettare l’incarico degli Affari penali, dicendogli che era lo stesso ricoperto da Falcone, lo diceva per ignoranza oppure lo stava raggirando. Oggi quell’Ufficio è praticamente scomparso, accorpato nella Direzione Affari generali, non è quindi più lo stesso ricoperto da Falcone. Il Dap invece è nel Ministero della Giustizia ciò che per il ministero dell’Interno è il capo della polizia. Le due offerte non erano equivalenti”.