L’attacco parte proprio in concomitanza dell’inizio della decima Leopolda. Il capogruppo di Italia Viva alla Camera, Maria Elena Boschi, parla della sua proposta di istituire una commissione d’inchiesta sulla disinformazione. “Ci sono forze politiche che vorrebbero eliminare le indagini sulle influenze straniere. Perché?”
Consacrato l’inizio ufficiale del neonato partito Italia Viva di Matteo Renzi, l’attenzione rimane su Maria Elena Boschi che, dal suo studio a due passi dalla Camera, studia i numeri degli iscritti all’evento: “Posso solo dire che i preregistrati attraverso il sito superano già il doppio di quelli dell’anno scorso”, dice. E, annuncia, che la sua prima battaglia in Parlamento sarà quella alle fake news.
Prima firmataria della proposta di legge sulla istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta contro la disinformazione, per indagare sulla diffusione “seriale” di notizie false nei cinque anni appena passati. Attenzione particolare anche per quel 2016, anno del fallimento del referendum costituzionale voluto da Matteo Renzi. Una richiesta che qualcuno ha fatto già sapere di non gradire in Parlamento, soprattutto tra i banchi della maggioranza. Nelle commissioni Cultura e Trasporti della Camera la discussione sul testo è appena cominciata e si sono registrati nervosismi specie nel testo che riguarda le indagini su eventuali influenze straniere nelle campagne elettorali. Che sia la Lega sia i Cinque Stelle non avrebbero visto di buon occhio.
“Chiaramente, siamo al lavoro per cercare di dare risposte alle priorità delle persone, da evitare che aumenti l’Iva al Family Act, ma non possiamo tralasciare nemmeno un tema che riguarda la libertà dei cittadini e la democrazia” spiega la Boschi a Linkiesta. “L’obiettivo però non è solo capire come la disinformazione incida sulle campagne elettorali, ma anche come possa agire negativamente sulla vita delle singole persone”. Insomma, secondo l’onorevole “un tema che riguarda tutti noi, che può rovinare la vita delle persone prima ancora che le carriere politiche. Pensiamo alla diffusione di notizie false che possono distruggere la reputazione di una qualunque persona. Ma anche, in ambito commerciale, la reputazione di un’azienda o il successo di un prodotto. C’è poi un dibattito che riguarda almeno tutto il mondo occidentale, in Europa e negli Stati Uniti, su come le fake news incidano non solo nella vita quotidiana delle persone ma anche nei processi politici, nei momenti elettorali. Un tema che è di attualità per tutti. Sembra paradossale che solo in Italia non se ne parli. Oggi, alle porte del 2020, il fatto che il Parlamento italiano nemmeno si interroghi su questi temi è un errore. Sarebbe come se alla fine dell’Ottocento non si fossero interrogati sulla rivoluzione industriale.”
Dunque, la Commissione d’inchiesta dovrebbe “capire cosa sia successo negli ultimi cinque anni in Italia, non solo quando ci sono stati momenti di confronto elettorale. Per essere chiari, noi non pensiamo che il referendum del 2016 lo abbiamo perso perché ci sono state le fake news o perché Paesi stranieri hanno tramato contro di noi. Il referendum lo avremmo perso comunque: il voto dei cittadini è stato netto. Però, per esempio, può essere interessante chiedersi come mai dei siti russi riportavano notizie false durante la campagna referendaria del 2016 su eventi che organizzavamo noi.” E, assicura, “Non è una proposta di legge in cui chiediamo di mettere il bavaglio ai giornalisti o chiudere i social network, ci mancherebbe. È solo una commissione di inchiesta per capire cosa è successo. Chi ha paura della verità? Credo che sia interesse dei cittadini sapere come le fake news incidano sulle nostre vite.”
Parrebbe, però, che proprio Lega e 5 stelle stiano facendo di tutto per eliminare la parte della proposta di legge in cui si chiede se ci sono state influenze straniere nelle campagna elettorali.
“Se la approvassimo a fine legislatura non avrebbe senso perché non avrebbe il tempo necessario per svolgere il proprio lavoro. Peraltro la commissione dovrebbe, poi, presentare delle proposte per capire come migliorare il quadro normativo, il rapporto con le piattaforme digitali, immaginare delle forme di sensibilizzazione perché i cittadini maturino un senso critico sulle moltissime informazioni che hanno a disposizione”.