Il decreto per la nomina è del 22 marzo e la firma è del sottosegretario a palazzo Chigi, il consigliere di stato Roberto Garofoli. È inverosimile che il nuovo capo di quella struttura non sia stato indicato dal ministro senza portafoglio dal quale il dipartimento dipende: Renato Brunetta.
Il prescelto per un incarico tanto delicato risponde al nome di Marcello Fiori, dirigente della presidenza del Consiglio che vanta un curriculum ineguagliabile. Il 23 dicembre 2019 era commissario per le Marche di Forza Italia, il partito di Silvio Berlusconi e del quale Brunetta è esponente di spicco. Quel giorno è stato sostituito all’improvviso con il senatore Francesco Battistoni. “Pago il prezzo della libertà delle mie idee e l’indipendenza delle mie posizioni”, si è sfogato.
Dirigente di palazzo Chigi è anche Paolo Naccarato, che si era candidato senza fortuna con il centrodestra alle elezioni del 2018. In precedenza è passato da sottosegretario nel governo Prodi, ad assessore regionale in Calabria con Agazio Loiero, poi nel Pd, poi con Italia Futura di Montezemolo, poi con Lavoro e libertà di Tremonti, poi con la Lega, poi con Alfano, poi con l’Udc, poi con rinascimento di Sgarbi. E dirigente della presidenza è anche Stefano Fassina, deputato eletto con Liberi e uguali e consigliere comunale di Roma.
Ma nessuno che si ricordi ha ricoperto un incarico politico mentre era dirigente dello Stato, e dallo Stato stipendiato.
Dal 2016 al 2019 Marcello Fiori era titolare di un “incarico di studio, consulenza e ricerca” al dipartimento Affari regionali di palazzo Chigi. Formula che equivale a una specie di parcheggio per i dirigenti indesiderati che non si possono licenziare. Nello stesso periodo Fiori risultava responsabile nazionale per gli enti locali di Forza Italia, ricevendo nel 2018 anche l’investitura di commissario regionale delle Marche.
Non si ricorda un ministro che abbia nominato ai vertici della propria amministrazione un dirigente che ha ricoperto incarichi fiduciari così rilevanti nel proprio partito. Un dirigente dello Stato che ha raggiunto i massimi livelli dell’apparato pubblico senza fare un concorso, ma per chiamata diretta. L’Articolo 97 spiega: “Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge”. E questo è appunto un caso stabilito dalla legge.
Articolo 16 comma 2 del decreto legge 23 maggio 2008, numero 90: “Il Dipartimento per la protezione civile è autorizzato ad avvalersi di una unità di personale dirigenziale appartenente a società a totale o prevalente capitale pubblico ovvero a società che svolgono istituzionalmente la gestione di servizi pubblici, da inquadrare nel ruolo speciale dei dirigenti di prima fascia…”. È il primo provvedimento del governo Berlusconi dopo il consiglio dei ministri a Napoli il 21 maggio 2008 per l’emergenza rifiuti in Campania, dove manca soltanto nome e cognome. Quello di Marcello Fiori, in quel momento in forza all’Acea, la municipalizzata del Comune di Roma. Che grazie a quel colpo si ritrova improvvisamente dirigente dello stato. Berlusconi ha dato carta bianca al potentissimo capo della Protezione civile Guido Bertolaso e su quella carta in quel momento si può scrivere qualunque cosa.
Bertolaso c’entra perché Fiori è il suo braccio destro.
Tutto comincia nel 1997, quando il sindaco di Roma Francesco Rutelli decide che quel giovane è sprecato all’Acea. Così lo nomina prima vice e poi capo di gabinetto. E lo spedisce anche a occuparsi del Giubileo, dove la sua strada incrocia quella di Bertolaso. Per lui sono anni d’oro.
L’inevitabile eclissi di Bertolaso dopo le inchieste sulla Cricca dei Grandi eventi e il pasticcio di Pompei sono tuttavia soltanto incidenti di percorso, prima del decollo in politica. Nel 2013 il Cavaliere pensa di rianimare il partito boccheggiante con una scossa adrenalinica: da Forza Italia a Forza Silvio. Fiori per organizza i club Forza Silvio. La partenza è bruciante. “Centocinquantasette club in 72 ore!” annuncia entusiasta l’ex braccio destro di Bertolaso a febbraio 2014, con Berlusconi che lo incita a raggiungere la vertiginosa quota di 12 mila. Fiori viene nominato responsabile degli enti locali e da palazzo Chigi e si trasferisce in comando al Senato. Nel 2016 rientra alla base, con la sine cura dell’incarico di studio. Finché agli Affari regionali non arriva Francesco Boccia, del Pd, che non gli rinnova l’incarico. Allora trasloca a un altro dipartimento, quello della programmazione economica.