Chiesto il processo per 143 persone. Tra loro anche il cugino di Messina Denaro.
Mafia in Lombardia. E dietro le quinte, affari milionari e minacce ai magistrati.
Mentre Milano si racconta ancora come la locomotiva d’Italia, nell’ombra prende forma un altro motore: quello delle mafie unite. ’Ndrangheta, camorra e Cosa nostra, secondo la Direzione distrettuale antimafia, avrebbero unito forze, contatti e affari per dare vita a un’unica entità criminale: un “sistema mafioso lombardo”. Un patto d’acciaio costruito in silenzio e alimentato dai grandi affari del Nord.
Inchiesta Hydra
La maxi-inchiesta si chiama Hydra — come il mostro mitologico dalle molte teste. E come Hydra, anche qui ogni testa è una mafia diversa, ma il corpo è lo stesso: il territorio lombardo.
Dopo mesi di indagini e retate, il procuratore capo di Milano Marcello Viola e i pm Alessandra Cerreti e Rosario Ferracane hanno chiesto il processo per 143 persone. Una lista che sembra la mappa criminale di un’intera regione. Ci sono boss storici, gregari, colletti bianchi e imprenditori. Ma c’è anche lui: Paolo Aurelio Errante Parrino, cugino di Matteo Messina Denaro. L’uomo, secondo i magistrati, avrebbe addirittura fatto da tramite col superlatitante di Castelvetrano, passando informazioni su “argomenti esiziali”. Comunicazioni vitali, strategiche. Affari in comune? Interessi personali di Messina Denaro negli investimenti mafiosi al Nord? Secondo la procura, sì.
Dall’inferno alla Cassazione: la guerra giudiziaria
Ma la strada dell’inchiesta è stata tutto fuorché liscia. Il gip Tommaso Perna, a ottobre 2023, aveva respinto 142 richieste di misura cautelare su 153. Tradotto: per il giudice, l’impianto accusatorio reggeva poco. Solo 11 arresti concessi. Le mafie, insomma, non sarebbero state un “consorzio”.
Poi è arrivata la sezione del Riesame.
E ha ribaltato il tavolo: sì, esiste un’associazione mafiosa unica. E sì, le misure cautelari vanno applicate. 41 persone finite in carcere, con la Cassazione che ha confermato tutto. Risultato? Una pioggia di arresti.
Nel frattempo, la tensione è salita. I magistrati sotto scorta. Viola e Cerreti hanno ricevuto minacce gravi, proprio a causa del lavoro su Hydra. E sono stati rafforzati i dispositivi di sicurezza.
Nomi, cognomi e potere criminale
Scorrendo la lista degli indagati, il quadro diventa nitido. Non si tratta di un’alleanza occasionale. È una struttura pensata, organizzata, radicata.
Oltre a Errante Parrino, spiccano i nomi di Giovanni e Rosario Abilone, suoi fedelissimi. Poi c’è Gioacchino Amico, ritenuto dagli inquirenti il rappresentante della camorra dei Senese in Lombardia. E ancora Vincenzo Senese, Giuseppe Fidanzati (figlio del boss palermitano Gaetano Fidanzati) e Massimo Rosi, presunto referente della ’ndrangheta.
Sono 92 i capi d’accusa, e 15 le parti offese, tra cui Regione Lombardia e i Comuni di Milano e Varese. Sei collaboratori di giustizia e pagine fitte di nomi, intercettazioni, rapporti e testimoni.
Gli affari al Nord: silenziosi, milionari, mafiosi
Dietro questa alleanza, non ci sono solo sigarette e pizzo. Ci sono affari milionari, fondi da riciclare, cantieri da gestire, forniture da pilotare. Milano non è più solo terra di conquista: è base operativa, laboratorio, quartier generale.
E Messina Denaro, da latitante, non si teneva certo lontano: secondo i pm, avrebbe guardato con attenzione e interesse a quegli ingenti affari finanziari gestiti dal “sistema mafioso lombardo”. Affari che non puzzano di sangue, ma di soldi. E di potere.