In questa puntata ne parla Cucciolo (nome in codice) dei Ros che in quegli anni ha lavorato con il capitano Ultimo alla resa della mafia. Al suo fianco un collaboratore di giustizia.
Mafia appalti: l’informativa dei Ros sui grandi nomi della finanza e dell’impresa italiana. Mario Mori e Giuseppe De Donno furono essenziali collaboratori di Falcone e Borsellino, contribuendo in modo significativo ai successi investigativi contro la criminalità negli anni Novanta, incluso il cruciale arresto di Totò Riina. Insieme, parteciparono all’elaborazione del ‘Dossier mafia-appalti’ e affrontarono un processo legato alla presunta trattativa ‘Stato-mafia’, dal quale furono completamente assolti.
Il generale dei Carabinieri, Mario Mori, si distinse in prima linea nella lotta al terrorismo e successivamente, come comandante del ROS, si dedicò alla lotta contro la mafia. Inoltre, ricoprì la carica di direttore del SISDE, il servizio segreto civile italiano.
Il già colonnello Giuseppe De Donno svolse un ruolo di rilievo come membro del ROS nella lotta contro la criminalità nei primi anni Novanta.
Mafia appalti: i nomi che hanno tremato dopo l’informativa dei Ros
L’indagine nota come “Mafia e Appalti” rappresentò il primo sforzo investigativo in Sicilia mirante a rivelare le intricate connessioni tra Cosa Nostra e le sfere politiche ed imprenditoriali. Condotta dal colonnello Mario Mori e dal capitano Giuseppe De Donno, entrambi appartenenti al ROS dell’Arma dei Carabinieri, ebbe inizio nel 1988 in seguito alle denunce del sindaco di Baucina, Giuseppe Giaccone, e dell’imprenditore di Roccamena, Aurelio Pino, coraggioso nella sua resistenza alle richieste estorsive.
Il 20 febbraio 1991, su impulso di Giovanni Falcone, il ROS presentò alla Procura di Palermo il dossier “Mafia e Appalti”, lungo 956 pagine, svelando le prime indagini sulle collusioni tra politici, imprenditori e membri della mafia. Questo rapporto evidenziava l’esistenza di un illecito comitato d’affari e nominava le società e le persone coinvolte. Tuttavia, l’inchiesta si scontrò con resistenze sia da parte dei mafiosi che dei politici e degli imprenditori. L’ordinanza fu bloccata per cinque mesi dal procuratore capo di Palermo Pietro Giammanco, che riteneva l’indagine superflua, e successivamente fu divulgata a diverse procure siciliane, a Roma e addirittura agli avvocati degli indagati, fornendo così l’opportunità a molti criminali di fuggire. Il 9 luglio successivo, furono arrestati Angelo Siino, Giuseppe Li Pera, Cataldo Farinella, Alfredo Falletta e Serafino Morici. Successivamente, altri imprenditori come Vito Buscemi e Rosario Cascio furono coinvolti nell’indagine.
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Nel maggio 1992, uno degli indagati, Giuseppe Li Pera, iniziò a collaborare con gli inquirenti, ma le sue dichiarazioni non furono inizialmente credute dalla Procura di Palermo. Tuttavia, le sue rivelazioni sulla corruzione negli appalti furono accolte dal giudice Antonio Di Pietro, impegnato nell’inchiesta su Tangentopoli. Dopo l’assassinio di Paolo Borsellino nella strage di Capaci, l’indagine “Mafia e Appalti” ricevette ulteriori attenzioni.
Su 45 indagati, tra cui noti imprenditori nazionali, solo 5 furono processati, mentre gli altri furono archiviati il 14 agosto 1992. Angelo Siino fu condannato a nove anni di reclusione, mentre gli altri imprenditori ricevettero pene più lievi grazie alla loro collaborazione.