Quarant’anni dopo il blitz di San Michele, che segnò una svolta con il maxiprocesso scaturito dalle rivelazioni di Tommaso Buscetta, la storia si ripete.
Mafia 2.0: blitz storico a Palermo, chat criptate e boss in videoconferenza. Un’indagine coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia assesta un colpo durissimo ai clan storici di Palermo e provincia, con 181 misure cautelari tra boss, estortori, trafficanti e uomini d’onore di mandamenti storici come Porta Nuova, San Lorenzo, Bagheria, Terrasini e Pagliarelli.
Mafia high-tech: pestaggi in diretta e cellulari criptati
Le mafie si adattano ai tempi, e questa inchiesta lo dimostra: i boss detenuti comunicavano indisturbati con l’esterno grazie a telefoni criptati, gestendo affari, estorsioni e addirittura ordinando pestaggi in diretta video. Come nel caso di Calogero Lo Presti, capomafia di Porta Nuova, che avrebbe assistito in videoconferenza a un pestaggio commissionato direttamente dal carcere.
Non solo. Gli investigatori hanno scoperto vere e proprie chat di gruppo riservate ai mafiosi, dentro e fuori dal carcere, grazie a cellulari ipertecnologici. L’arresto di alcuni affiliati ha svelato per caso questa rete: due mafiosi, accorgendosi del malfunzionamento dei dispositivi, hanno tentato di ripristinarli rivelando inconsapevolmente l’elenco dei loro contatti. Un’autogol clamoroso che ha fornito alla DDA un assist incredibile.
Nostalgia dei boss del passato: “La mafia di oggi fa ridere”
Le intercettazioni raccontano anche un profondo senso di declino tra i padrini di Cosa nostra. “Il livello è basso, oggi arrestano uno e subito si pente” lamenta Giancarlo Romano, capomafia di Brancaccio. “Ai nostri tempi si parlava con dottori, avvocati, quelli che comandavano l’Italia e l’Europa. Oggi? Siamo ridotti a vendere panette di fumo. I boss di una volta parlavano di navi cariche di droga, non di spiccioli. Noi siamo diventati gli zingari del crimine”, aggiunge con disprezzo.
Questo senso di inferiorità rispetto ad altre organizzazioni criminali spinge Cosa nostra a stringere alleanze più forti con la ‘ndrangheta e a selezionare con maggiore attenzione le nuove leve. “C’è un picciotto, si chiama Guido, è in gamba, ce l’ha nel sangue”, viene riferito a un boss per garantire l’affiliazione di un nuovo soldato.
Racket, giochi online e droga: un business che non si ferma
Nonostante il malcontento dei vecchi padrini, Cosa nostra continua a fare soldi a palate. Il racket è sempre il core business, ma il settore delle scommesse online è diventato una miniera d’oro. Poi c’è la droga: “Mi senti? Sta arrivando il carico, organizzati per distribuirlo. Lo piazzi in quattro o cinque colpi, 300mila euro a botta”, dice un boss di Tommaso Natale a un affiliato. “Al volo! Al volo!” risponde l’altro, entusiasta.
Gli affari corrono anche sul dark web, dove i clan acquistano armi e strumenti per restare invisibili alle forze dell’ordine. Il vecchio codice d’onore, però, non si discute: “Cosa nostra è come un matrimonio, te la sposi e te la porti fino alla morte”, afferma un uomo d’onore. L’appartenenza alla mafia viene ancora vissuta come un vincolo indissolubile, al punto che alcuni boss parlano della loro adesione come una scelta ideologica, non solo criminale.
“L’Italia è scomoda, meglio andarsene”
Il rischio di essere scoperti e arrestati spinge molti mafiosi a progettare fughe all’estero. “Io me ne vado! L’Italia per noi è diventata scomoda, non posso perdere quello che ho costruito fino ad oggi. Cominciate a farvi i passaporti!”, ordina un boss intercettato mentre organizza la sua latitanza.
Questo blitz, che riporta alla memoria il 1984, dimostra che la mafia continua a evolversi, sfruttando la tecnologia per sfuggire ai controlli. Ma anche che lo Stato, con inchieste di questo calibro, può ancora assestare colpi pesantissimi. Cosa nostra è in ginocchio, ma non ancora sconfitta.